martedì 6 marzo 2018

A MIA SORELLA V. di Roberta Vannucci

Riflessi diversi di uno stesso specchio che rimanda ad ognuna l’immagine di sé attraverso gli occhi dell’altra. Quando ho aperto gli occhi per la prima volta, tu eri già qui: primo esempio da seguire, primo mito da emulare. Non ho mai amato nessuno così tanto. Non ho mai odiato nessuno così tanto. Ho calcato i tuoi passi, invidiato la tua sicurezza, imparato dai tuoi errori. Ho riprodotto i tuoi angoli smussandoli. Ho divorato la tua essenza assorbendo i tuoi pregi e digerendo, a fatica, i tuoi difetti. Ti ho ascoltata, consolata, curata, accarezzata, assecondata, insultata, compresa, fraintesa. Mi hai ascoltata, consolata, curata, accarezzata, assecondata, insultata, compresa, fraintesa. Inconsapevolmente talvolta ci siamo fatte del male. Inconsapevolmente ogni giorno ci facciamo del bene. Mi hai insegnato tanto ed hai imparato poco. Ho imparato tanto e insegnato molto meno. La musica, i libri, l’amore, la vita: ogni cosa tu, prima di me; ogni cosa io, grazie a te. Diario fedele di ogni mio segreto, giudice inflessibile, seppur benigno, di ogni mio fallimento. Il babbo e la mamma spiegati attraverso le tue manie, le tue ossessioni; compresi attraverso i tuoi silenzi, le tue lacrime che mi hanno risparmiato le mie, proteggendomi dagli errori, quelli già fatti da te e coprendo gli sbagli, quelli commessi da me. Ti ho ucciso molte volte e sempre, ogni volta, ti ho riportato in vita. Ti ho ucciso per essere unica; tu lo eri già stata, unica, prima che io nascessi. Abbiamo litigato per il phon, per il telecomando, per il motorino, per un paio di anfibi, per chi dovesse usare il bagno o rimettere a posto la camera. Ci siamo strattonate, tirate i capelli, rincorse per la casa. Abbiamo guardato la tv sotto la stessa coperta e dormito nello stesso letto. Abbiamo riso come solo i matti sanno ridere. Abbiamo pianto come solo i bambini sanno piangere. Abbiamo affrontato il dolore più grande, quel dolore che ancora oggi, ogni giorno, trafigge i nostri cuori con la lama dell’assenza. E chissà come avrei fatto senza di te. Chissà se sarei stata capace di rialzarmi con la stessa forza senza il tuo ottimismo. Mi hai protetto dall’egocentrismo, dalla dipendenza dal giudizio altrui, dal bisogno costante di conferme. Tu mi hai dato tutto fin dall’inizio: confronto e scontro, critica e obiettività, guerra e pace, ogni cosa: spada e armatura per affrontare il mondo. Siamo state, e siamo, figlie imperfette, di quella imperfezione che è tipica di tutte le figlie. Ora siamo madri e saremo, nuovamente, imperfette, di quella imperfezione che è di tutte le madri. Figlie, compagne, madri, donne ma sempre sorelle, anime unite, anche se non necessariamente affini, rami diversi di un unico albero la cui forza sta nelle radici, quelle sì, uguali e nostre soltanto.

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