martedì 31 ottobre 2017

SBAGLI di Fabio Langellotti


La pioggia incessante della notte aveva lasciato la strada piena di pozze.

Avevo sentito lontano il rombo di un Range Rover e decisi così di aspettare che passasse, prima di attraversare la strada ed entrare nel mio ufficio del Comune. Purtroppo il guidatore, un giovane ragazzo col cappello da baseball, non si era accorto della strada bagnata e mi inondò di acqua.

Dovevo per forza tornare a casa a cambiarmi. Ripresi la metro, arrivai a casa, misi l’abito grigio a mollo e la camicia e la cravatta in lavatrice. Mi feci la doccia, presi un altro abito grigio, una cravatta a righe azzurre carta da zucchero e ripartii.

Entrai in Comune con una mezzora di ritardo e trovai il Direttore aspettarmi sulla porta del mio ufficio battendo l’indice sull’orologio al polso sporto in avanti.

«Cosi De Paoli non ci siamo»

«Direttore ma è la prima volta…»

«E che sia anche l’ultima!» mi apostrofò piccato «Seguimi» continuò «che ti devo presentare una persona»

 
Mi aspettava nel suo ufficio una signora, vicino ai quaranta senza superarli, castana con una divisa sul lato destro e un ciuffo a sinistra pronto ad essere spostato ossessivamente con le dita  lunghe ed affusolate e con unghie smaltate nere a pallini bianchi. Era vestita di un tailleur nero molto attillato, la camicia bianca che conteneva un seno importante, pantaloni gessati e tacco 12 classico.

«Ciao mi chiamo Gaia» porgendomi la mano.

«Buongiorno» le risposi balbettante.

«É la tua nuova coordinatrice. Mi raccomando» sentenziò il Direttore.

«Dai» mi fece Gaia «controlliamo lo stato delle pratiche e se possiamo velocizzarci, perché ho visto che siamo molto lenti nel rilascio dei permessi a costruire. Ma se non autorizziamo a costruire come farà la gente a diventare nostra futura contribuente?»

Mi sorrise, mi prese per un braccio e mi portò nel mio ufficio. Si levò la giacca, prese la sedia, la girò, si mise a sedere accanto a me con gli occhiali sulla testa e iniziammo a controllare al pc le pratiche. Ad un certo punto mi sfilò la tastiera di mano, mi diede i fascicoli e mi chiese di dettarmi i numeri di ordine. Aveva gli occhi bellissimi. Cercavo di non farmi scoprire mentre la guardavo e nello stesso tempo rimanere concentrato. Tra uno sguardo e l’altro vidi spuntare dalla camicetta la spallina nera del reggiseno, ma ad un certo punto credo se ne sia accorta perché si affrettò a tirarla su e poco dopo si rimise la giacca.

«Ok De Paoli…De Paoli…quanto è brutto chiamarsi per cognome. Come ti chiami?»

«Alfonso, signora Gaia»

«Macché signora, sono anche single! Tu invece?»

«No sign...Gaia»

«Perfetto, avremo entrambi più tempo per il lavoro. Alfonso faremo volare questa città»

Tornai a casa e uno strano sorriso vestiva il mio volto.

 
Furono mesi intensi, Gaia si fidava sempre più di me.

«Alfy è pronto il permesso per la Carretti Edile? Mi hanno telefonato stamattina, se no poi montano un casino»

Mi avvicinai con il modulo autorizzato.

«Ti adoro. Ma come ho fatto a trovarti?» Si alzò e mi baciò sulla guancia.

 
Andammo insieme a portare il permesso in azienda.

«Grazie Dottoressa e grazie anche a lei dottore» Ci fece il signor Carretti non smettendo di stringerci la mano «venite vi offro il pranzo, conosco un ristorante dove hanno il pesce freschissimo»

«No» lo interruppe Gaia con la mano aperta davanti a sé «È solo il nostro lavoro. La ringrazio ma non possiamo accettare. Andiamo Alfy» mi prese la mano e tornammo alla macchina.

«In momenti come questi, ti immagini se venisse fuori che siamo andati a pranzo con un costruttore? Ci massacrerebbero»

«Il coordinatore prima di te ci andava sempre»

«E infatti ora è a casa tesoro» mi rispose iniziando a ridere.

Tesoro. Mi aveva chiamato tesoro.
 

«Alfy» gridò Gaia da fuori l’ufficio, preannunciata dal ticchettio dei tacchi sul parquet. «A che punto è la pratica Irrati?» Entrò nel mio ufficio inondando la stanza di un profumo dolce che sapeva di vaniglia e amore. Le diedi il fascicolo pronto e mi sentii osservato. I suoi occhi mi scrutavano dall’alto verso il basso. «Non ci siamo Alfy. Per forza che sei single. Stasera shopping, ci rimettiamo sul mercato»

Uscimmo prima del solito e Gaia mi portò nel negozio di un suo amico. Comprai tre abiti, quattro camicie e due paia di scarpe, uno lucido e uno più sportivo. Spesi lo stipendio di quel mese e parte di quello successivo. Fuori dal negozio si girò verso di me e mi ruggì avvicinando la mano tipo zampa di leone che agguanta la preda. Indietreggiai. «Ma smettila» mi fece ridendo. Mi abbracciò e mi bacio sulla guancia lasciandomi il segno del rossetto.

 
«De Paoli? Vieni qui a sedere da noi?»

In venti anni era la prima volta che i miei colleghi mi invitavano a fare colazione con loro. «Allora come va?»

Lo stupore nella mia faccia era palese.

«Dai siediti» mi disse Martelli avvicinandomi la sedia. «Insomma come va con Gaia?»

«Bene» risposi addentando la sfoglia alla crema.

«Ma tra te e lei…» mi ammiccò con l’occhio Poretti e con la mano aperta e le dita chiuse fino al palmo in un gesto osceno.

«Insomma De Paoli» intervenne Martelli avvicinando la sedia e appoggiandomi il braccio sulla spalla «avete scopato?» Mi andò il cappuccino di traverso e macchiai il giubbotto tra le risate dei colleghi.

«Non avete scopato» riprese Poretti. «Ma dai è così evidente. Lei ne vuole da te»

«De Paoli cazzo. Sii uomo! Ti sta dando dei segnali talmente chiari. Alfy qui, Alfy là, tesoro, amore. Che aspetti che si presenti nuda facendoti vedere dove lo devi mettere?» E giù nuove risate.

«Ricorda De Paoli» Si alzò Martelli puntandomi l’indice addosso. «Ciò che è lasciato è perso. E non ritornerà mai più»

Arrivarono gli ispettori statali e fu un periodo di lavoro intenso, io e Gaia uscivamo sempre dopo le sette di sera. Quel pomeriggio li vidi entrare nel suo ufficio e chiudersi la porta alle spalle.

Rimasero dentro per più di un’ora. Quando uscirono avevano una faccia soddisfatta. Mi avvicinai fermandomi sulla porta e vidi Gaia con i gomiti sul tavolo e le mani che si reggevano la testa. Stava piangendo.

«Gaia»

Mi interruppe subito «Non è il momento Alfonso, ti prego esci»
 

Dopo circa un’ora, quando tutti i colleghi oramai avevano lasciato l’ufficio, la vidi presentarsi alla mia porta.

«Scusami. Sono distrutta. Gli ispettori pensano che per la concessione di Carretti abbia intascato delle cifre sottobanco. Io? Ti rendi conto?» e riprese a piangere. La fissavo inchiodato alla mia scrivania.

«Devo portare entro dopodomani tutti gli incartamenti, le autorizzazioni, le mail e una memoria difensiva. Non ce la farò mai!»

«No Gaia tranquilla» le dissi alzandomi «i documenti li ho io e sono tutti a posto. Se vuoi stasera possiamo rimanere e prepararla insieme»

«Lo faresti davvero?» mi guardò con gli occhi imploranti.

«Ma certo» risposi.

«Però ti invito a casa mia per sdebitarmi. Vieni alle 9 prendiamo due pizze»

 
Mi ero fatto la doccia, rasato, messo il dopobarba, rifatto la doccia e infine l’acqua di toilette della Proraso. Stirai l’abito e la cravatta che avevo comprato con Gaia ed uscii. Mi fermai al bar sotto casa e comprai una bottiglia di vino bianco ed un Brachetto.

«Ma Alfy dai? Sei a casa mia mica in ufficio» mi urlò Gaia vedendomi. Mi abbracciò, mi baciò sulle guance e mise le mani sul nodo della cravatta slegandolo. «Almeno la cravatta levala» Prese la bottiglia di vino, mise il bianco in frigo guardandolo strano e sorrise sul Brachetto.

Sul tavolo erano già pronte le pizze, due boccali e 4 Franziskaner da 75 cl. La pizza non era proprio come piace a me, ma le mangiai lo stesso. Mentre parlavamo della concessione Carretti finimmo due bottiglie di birra.

Iniziava un po’ a girarmi la testa.

Ci sedemmo sul divano, io appoggiato al pomello con le gambe conserte e lei con le gambe piegate come facesse Yoga. Mi raccontò della sua famiglia, di come le rimproverassero sempre di essere andata lontano dai genitori, di non essersi ancora sposata, di non avere figli, di pensare troppo al lavoro.

«E invece Alfy io ce l’avevo l’uomo. Era un dirigente, adesso fa l’assessore. Era sposato, ok, ma ci amavamo. Ho pensato fosse sincero quando mi diceva di stare lasciando la moglie per farsi una nuova vita con me. Ne ero certa» Abbassò la testa «Poi è arrivata la politica, la proposta di diventare assessore. In quel momento bisognava che la sua immagine fosse pulita. Così mi lasciò. Ma non si fidava di me e mi fece trasferire qui minacciandomi che se avessi rivelato della nostra relazione avrei smesso di lavorare per sempre» Iniziò a singhiozzare. Io la guardavo e non capivo.

«Dai cazzo, Alfy, in questi casi una donna va abbracciata» Mi gridò.

Eseguii quanto ordinato. Sentivo il suo seno battere su di me mentre piangeva. Mi tornarono in mente Poretti e Martelli. La guardai negli occhi, lei sorrise io la baciai.

 
Si ritrasse fulmineamente, «No Alfy, scusami, ho sbagliato io»

Cosa stava dicendo? Eppure Poretti e Martelli erano stati chiari.

La ribaciai, lei mi allontanò con le mani ma io la strinsi a me.

Lei ne vuole da te.

Cosa aspetti che si presenti nuda?

Sii uomo.

La iniziai a spogliare. Non era semplice perché si dimenava. Ma oramai avevo capito che era il suo modo di dimostrarmi quanto mi volesse anche lei. La presi in braccio e la lanciai sul letto.

Cercò di scappare in bagno. Forse avrebbe preferito struccarsi, ma avevo letto che le cose spontanee sono le più belle, così mi buttai sopra di lei. Mi misi con le ginocchia sulle braccia e iniziai a spogliarmi anche io. Le strappai la camicetta. Era bellissima…la amavo ed adesso avevo capito che anche lei amava me. Iniziammo a fare l’amore. Avevo visto su internet, su quel sito dove c’erano le immagini di coppie che fanno l’amore, che le donne prima non ci stanno poi insistendo però si. E aspettavo anche io che smettesse di gridare per dirmi quanto mi amasse. Aveva ragione Poretti, mi voleva anche lei.

Finii dopo poco ma fu bellissimo. Andai in bagno a lavarmi perché mi dava fastidio il puzzo di sudore. La lasciai piangente sul letto. Mi rivestii, la baciai sulla fronte. Aveva il viso tutto sbavato dal trucco. sciolto dalle lacrime.  Erano di gioia.

Adesso sono in Questura. Ma io domani mattina devo andare in ufficio, rischio il richiamo.

Un poliziotto mi fa delle domande su Gaia. É chiaro che si tratta di uno spiacevole fraintendimento. Di uno sbaglio.

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