martedì 31 ottobre 2017

MEZZO PIENO di Sabrina Carollo

La bottiglia era volata tragicamente in terra, accompagnata da un grido disperato di Andrea.

“Fermalo presto!” aveva urlato in risposta Anna, lanciandogli uno strofinaccio con la prontezza di un agente segreto - di quelli fighi, beninteso, non quelli che è previsto muoiano alla terza scena -. Andrea si sarebbe gettato a leccare il pavimento, invece. Era Brunello, costato uno sproposito. Nella frazione di secondo in cui la bottiglia era caduta sugli scalini e si era frantumata incocciando nel maledetto spigolo affilato, la sua mente era frullata dalla paralisi dell’orrore alla verifica delle (im)possibili opzioni, tipo raccogliere il liquido con la paletta dello sporco, assorbire con un tovagliolo di lino pulito e strizzarlo poi in un contenitore per recuperare il prezioso vino. Si era dovuto arrendere vedendo i pezzi di vetro mescolati - anche se morire per aver ingerito schegge deliziose poteva avere un suo romantico perché.

Mentre Anna si precipitava con altri strofinacci, Andrea osservava affascinato e dolente il rosso granato che si allargava con incedere matematico tra le fughe delle piastrelle di cotto, inzuppando il grigio del cemento, scivolando invece più veloce sulle superfici di mattone cristallizzato.

“Muoviti! Cosa aspetti?” lo scosse Anna, che intanto stava buttando fogli di carta assorbente e materiali di vario genere e dimensione per limitare la corsa del vino.

Come sempre, lei era quella efficiente. Lui si perdeva, incapace di reagire, assorbito da dettagli insignificanti, distratto da pensieri che lo trasportavano altrove, assente dal qui e ora; lei era rapida, forte, reattiva. Lei metteva i punti, lui sfumava. Lei era solida, lui una gelatina di pollo.

“Mi dispiace. Ho rovinato la serata”. Si sentiva colpevole, Andrea. Era lui che teneva il vino in mano, e goffamente lo aveva lasciato cadere. E comunque si sentiva colpevole sempre. In un modo o nell’altro era lui, regolarmente, quello che faceva danni. Quello che prendeva le multe perché non si era accorto del divieto temporaneo. Quello che lasciava bruciare i piselli e la padella e anche parte del contenitore delle spezie, una delle rare volte in cui Anna gli aveva chiesto di dare un’occhiata alla cena. Quello che dimenticava le chiavi in casa e si chiudeva fuori, costringendola a tornare dall’ufficio per aprirgli. Quello che non faceva carriera, perché in realtà il suo sogno era fare l’attore. Quello che non voleva figli, perché guardami qua.

Gli amici li sfottevano, “Anna la quercia e Andrea l’edera”. Lui ridacchiava, poi si risentiva di nascosto, chiuso in bagno, osservandosi allo specchio. Con la lingua spingeva in fuori i contorni delle labbra per controllare le rughe, osservava i capelli bianchi moltiplicarsi, verificava le condizioni generali della muscolatura. Anna intanto stirava, o faceva il cambio dell’armadio, oppure la spesa. E pensare che lei nemmeno gli raccontava tutto. Non certo di come le amiche le chiedessero come facesse a stare con uno così. Cosa ci trovasse. O delle eccessive cortesie del nuovo collega, che un po’ la lusingavano, certo, ma che non la facevano dubitare.

Perché Anna sapeva vedere quello che agli altri sfuggiva. Anna vedeva le rughe, i capelli bianchi, i pasticci, le multe, la terribile goffaggine. Anna non sottovalutava affatto l’egocentrismo ai limiti del narcisismo di Andrea. Anna sapeva leggere attraverso le righe del suo fastidioso autocompatimento, quel bisogno mascherato di sentirsi diverso, speciale, anche solo in negativo. Anna vedeva perfettamente quanto lui non fosse affatto speciale. Così come non lo era lei, del resto.

Ma sapeva che loro due, insieme, erano speciali. Che in qualche modo si completavano. Sapeva che Andrea aveva una fantasia arcobaleno, una risata contagiosa, due occhi brillanti e un abbraccio rassicurante. Vedeva la sua lealtà, la capacità di cogliere dettagli che agli altri sfuggivano. Le foglie rosse in autunno, la luce rifratta di un bicchiere, il suo sguardo affannato dopo una giornata di lavoro. C’era e non c’era, a volte era faticoso. Ma lei si concentrava sulle sue parti migliori. Non era forse quello il modo di farle germogliare e poi fiorire? Illuminarle, innaffiarle, e tenerle al caldo.

“Pazienza, vorrà dire che brinderai con la Vernaccia”, replicò sorridendo. “In fondo io non posso nemmeno bere”

“Brindare? È successo qualcosa?”

“Sono incinta”.

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