sabato 5 agosto 2017

TUFFI di Andrea Mitri


La cosa in fin dei conti era piuttosto stupida. Si trattava di arrivare in bicicletta prendendo velocità sul lungomare di cemento e poi svoltare a sinistra sul moletto cercando di non perderla. E una volta in traiettoria, rilanciare sui pedali, lungo quei 10 metri rimasti, fino a tuffarsi in acqua, mantenendo il più possibile la bicicletta dritta fino al momento dell’impatto. Il tutto sotto gli occhi dei bagnanti in via di agitazione e non prima di essersi assicurati che nessuno stazionasse sul moletto e nell’acqua prospiciente.

Si poteva realizzare il tutto verso le sette di sera , quando la gente meno affollava il lungomare e più facile era lanciare la bicicletta in mezzo ai residui asciugamani distesi al sole. A voler fare poi il passaggio successivo si poteva anche arrivare in due bici da direzioni opposte , svoltare con difficoltà all’unisono sul moletto e filare in coppia verso l’acqua per un doppio tuffo sincrono ad alto coefficiente di difficoltà. Ma questo era riservato a pochi eletti, Carmelo e Viviano su tutti.

Di Carmelo era presto detto: non aveva paura di niente. Delle piccole grandi imprese  temerarie della nostra passata infanzia, non c’era cosa che lui non avesse fatto.

Arrampicarsi sulla roccia della Val Rosandra a mani nude, entrare al buio nella vecchia galleria rifugio della seconda guerra probabilmente ripiena di topi o suonare il campanello di Don Damiano e non scappare come facevano tutti. Non si era negato nulla: e sempre per primo.

Viviano gli andava dietro, un po’ per competizione e molto per ammirazione; aspettando sempre di capire come Carmelo affrontava le cose e trovando solo successivamente la sua modalità: solitamente prevenente anche il minimo rischio imprevedibile.

Nel caso dei tuffi, ad esempio, era stato Viviano, a suggerire di creare una specie di sigla di apertura dell’esibizione, che in qualche modo desse un tocco di spettacolo al tutto, ma che in realtà nella sua idea era il modo di avvisare i bagnanti che per 10 minuti sarebbe stato meglio evitare di frequentare il moletto e la zona immediatamente circostante. Ad evitare danni collaterali.

La scelta era caduta su “I will survive “ di Gloria Gaynor che quell’estate imperversava su Radio Suono, la prima radio libera della città. Così , quando il tutto stava per cominciare, Paola si recava alla cabina telefonica difronte alla gelateria Mattiassi e richiedeva il pezzo, che da lì a 7/8 minuti massimo sarebbe stato puntualmente messo in onda . E si partiva.

Della  sera che Carmelo scivolò lungo il moletto andandosi a schiantare sullo scoglio grande, ricordo bene solo che rimanemmo lì per un attimo a guardarci spauriti, prima di buttarsi nell’acqua per recuperarlo. E non come se ci sembrasse impossibile che fosse accaduto, ma come se un deja vù possibile si fosse materializzato. Qualcuno disse che aveva preso la curva troppo forte, qualcun altro che un pensionato , apposta, aveva sparso sul moletto una bottiglietta di olio solare Coppertone, altri che se l’era cercata.

Io non dissi niente , né allora né dopo: semplicemente presi atto, qualche mese dopo,  che Carmelo non camminava più, rimaneva confinato su di una sedia a rotella e che intorno a lui gli amici sparivano ad uno uno, inghiottiti dalle loro vite normali.

Continuiamo a vederci, anche ora che sono passati diversi anni, e che anche la mia vita, in qualche modo, ha virato verso una normalità, che so destinata a durare un tempo imponderabile ma non eterno, ma con cui voglio confrontarmi, prima di decidere che il mondo stabile e preordinato non fa per me.

Due volte la settimana vado a prenderlo. Facciamo un piccolo giro, ci prendiamo un bicchier di vino d’inverno o un gelato d’estate e parliamo di tante cose, senza mai tornare a quel tardo pomeriggio.

La vita non ci corrisponde, a nessuno dei due: ma d’altre parte sono pochi, quelli a cui la vita perfettamente si attanaglia.

Stasera ci siamo recati sul lungomare , a mangiare un fritto di pesce, inebriarci del bianco appena passabile del baracchino numero 7, pretenziosamente chiamato “Ibiza Lunch”, e attendere i fuochi artificiali estivi a rischiarare l’orizzonte verso la costa prospiciente.

E’ stato verso le 19 , appena seduti, che ci siamo sorrisi e tutto è tornato a galla.

E ora sono qui che forsennatamente spingo la carrozzella attraverso gli asciugamani stesi, svolto a sinistra lungo il moletto fortunatamente deserto e vado.

E mentre comincio a volare, anche se non lo vedo, so che Carmelo sorride.

 

 

 

 

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