È una serata
come ce ne sono state tante negli ultimi mesi, inquieta. Come me. Nonostante il
freddo aggressivo, che dovrebbe scoraggiarmi ad uscire, in casa non posso
restare. Mi aggiro per le stanze come un animale selvaggio appena catturato. Un
animale libero rinchiuso a forza tra pareti sconosciute. Mi siedo, leggo, mi
rialzo, faccio una tisana, mi fermo a guardare fuori della finestra, torno a
sedermi. Non trovo pace. Ho già fatto due spini e mi accingo a prepararmi il
terzo. Di mangiare ovviamente non se ne parla. Nel frigorifero il deserto dei
Tartari. Rimetto il cd dei Massive Attack con cui sono in fissa da oltre due
settimane. Erba e Massive Attack sono il mio pane quotidiano. Al momento di
Inertia Creeps sono cotta al punto giusto. È il momento di uscire intabarrata
nella mia sciarpa nera, il piumino verde acido, gli anfibi imbottiti di calze e
calzini. Mi sento invincibile. A tratti uno schifo. È un inverno freddissimo.
Gennaio è gelato. La mia auto fagocita l’asfalto nell’opacità liquida della
notte fiorentina. Il mondo sembra diverso da dietro i vetri di un’auto.
Distante e irreale. Ho bisogno di toccarlo, di entrarci dentro e guardarlo
senza filtri. Arrivo in San Frediano senza accorgermene. La macchina ormai
sembra guidata da un pilota automatico, conosce a memoria il percorso. Si
parcheggia da sola in un posto minuscolo. Un parcheggio si trova sempre. Basta
non pensarci e cercarlo il meno possibile. E lui compare come un dono che non
ti aspetti, una moderna manna nella società del dio meccanizzato dei parcheggi.
Il contrasto tra il freddo acuminato del fuori e il caldo del riscaldamento
della macchina mi paralizza il respiro. Mi muovo veloce, ombra senza volto tra
ombre ugualmente anonime. Non alzo lo sguardo, zigzagando i resti vitrei di
aperitivi tardivi a base di Moretti, zigzagando le merde di cane elegantemente
distese nel bel mezzo del marciapiede e zigzagando, infine, i pensieri
disseminati nella mia testa come mine antiuomo pronte ad esplodere.
Corro veloce
per lasciare indietro il passato. È tutto l’inverno che corro senza voltarmi. Giro
l’angolo e per poco non vado a sbattere contro Mazinga. Sussulto per lo
spavento.
- Ci si vede
dopo? – mi chiede sputando per terra una gomma da masticare fluorescente.
- Forse –
- Allora ci
vediamo là –
- Può darsi –
- Ma più tardi
– mi fa un sorriso che mi sembra un ghigno.
- Più tardi, ci sta. A dopo, sono di corsa –
- Ciao. -
I passi
prendono opposte direzioni mentre i nostri culi si allontanano continuando a
guardarsi. Il freddo umido mi entra nelle ossa e dilaga in tutto il corpo con
fitte alla testa che mi spaccano le tempie. Abbasso il cappello e tiro su la
sciarpa fino al naso. Gli occhi spuntano appena dall’unica fessura rimasta aperta.
La suola consumata dei miei anfibi cerca tenace di restare stabile sull’asfalto
scivoloso. Le luci dei negozi mi precedono materializzando effetti improbabili
che il mio sguardo rincorre tra il marciapiede e la strada. Incroci cromatici che
spariscono al mio passaggio risucchiati dai tombini insieme ad un familiare puzzo
di merda.
Di fronte al Blum
fantasmi infreddoliti bubbolano dentro cappotti sgualciti. Ballonzolando da un
piede all’altro cercano di scrollarsi il freddo di dosso esorcizzandolo con
battutacce al sapore di rum. La mia mano si alza in gesto veloce di saluto; qualcuno
risponde accennando con la testa. Varco la soglia del Blum con l’incedere
deciso di una moderna dea della notte. Eccomi nel mio regno di alcool e
patatine. Appena mi vede, Giorgio, il barista, mi prepara il solito. Il locale
è ancora mezzo vuoto ma la notte è giovane e farà presto a riempirsi. Mi siedo
al bancone e comincio a bere il mio Vodka lemon. Lo specchio mi regala
l’immagine incantevole di una giovinezza ancora verde. Una bella dormita
cancellerà anche le occhiaie. A cancellare tutto il resto ci penserà la dose di
mdma che ho appena comprato. Finisco il mio drink, mi alzo ed esco dal Blum piena
di speranza.
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