lunedì 1 maggio 2017

ROMBI di Andrea Mitri

A poco a poco si era abituato al rumore del venerdì sera.  A quel rombare di motori a dimostrare chi ce l’aveva più grosso, che regolarmente riempiva il tratto di strada che da 350 metri prima di casa sua andava fino alla villa dei Ragghianti, in cima alla collina. Lo si sentiva distintamente nascere dalla curva in salita, al di là del primo poggio, non appena, dalla superstrada, le macchine si immettevano in quello stradone di campagna, che, a tutti i costi, i Ragghianti avevano voluto asfaltare. Il punto massimo del rumore era esattamente sette metri dopo il pozzo, in prossimità del pergolato di glicine, nel punto preciso in cui la velocità poteva essere massima, e la distanza da casa sua , di non più di settanta metri. 
Lì , nel breve tratto di ottanta metri prima della prima curva lieve che disponeva la strada in salita, sembrava facessero a gara ad intontire tutti gli esseri viventi della zona.
Non vi era venerdì, da ottobre a maggio,  che questo non accadesse;  a partire dalle 20.15 sino alle 21.30, l’ora in cui solitamente, alla guida della sua Porsche non arrivava il notaio Gualandi, aduso ad essere l’ultimo, più per vezzo ,che per effettivo attardamento in ufficio dell’ultimo minuto. E non vi era possibilità che il rumore non si ripetesse, a dire il vero più sparso e meno invasivo, a partire dal primo pomeriggio della domenica, quando le macchine abbandonavano la villa, rombando però meno , quasi vi fosse negli ospiti un po’ di stanchezza o non fosse così poi necessario far sapere al mondo di esistere.
E il rumore dei motori non era l’unico, dato che musica , canti e risate , si protraevano lungamente nelle notti di sabato e domenica , alterando il sonno suo e dei pochi abitanti della zona.
Avevano protestato: prima compostamente, tramite delegazione che il Ragghianti non aveva voluto accogliere ( per troppi impegni telefonici) , poi a mezzo lettera conciliante ed infine con raccomandata con ricevuta di ritorno dell’ avvocato Bertelli. Il quale dopo la telefonata contrariata del notaio Gualandi, aveva velocemente rimesso il mandato adducendo motivi di salute improvvisamente peggiorata.
E così si erano in qualche modo rassegnati.
Anche perché d’estate, invece, regnava il silenzio. La comunità festante dei fine settimana si spostava sul Tirreno ai primi di giugno e raramente si ripresentava prima della fine di agosto. Così che per quel periodo, tutte le sere riacquistavano le sonorità pregresse, quelle successioni di note naturali, a volte ripetitive e a volte inaspettate ma mai invasive, che gli avevano fatto scegliere la vecchia casa colonica in cui da qualche anno abitava .
Poi nel settembre del ‘92 le macchine rombanti non riapparvero più, né di venerdì né di altro giorno settimanale possibile. Il via vai delle macchine della Guardia di Finanza fu molto più discreto, variabile e raramente annunciante il loro arrivo. E l’abitudine acquisita al loro arrivo mattutino poi, svanì nel giro di poche settimane dalla loro definitiva scomparsa.
Da allora l’unica macchina che timidamente si inerpicò lungo la salita che portava alla villa Ragghianti fu quella della domestica pugliese, una 127 color beige, che forse aveva raggiunto i 100 all’ora una volta sola in vita sua, sull’autostrada adriatica, durante un rientro da Manfredonia.
Fu strano per lui , quando il 27 aprile del 1994 , vide passare Augusto Ragghianti a piedi . Un uomo non più brizzolato ma definitivamente bianco, dal passo incerto, quasi sull’orlo dell’inciampo. Lo sguardo dritto, rivolto verso la villa in collina a cui faceva ritorno dopo la sua prima passeggiata in paese, l’uomo superò il pozzo accennando un lieve gesto di saluto con la mano.
Davide Facinbeni non rispose.
Ma poco dopo uscì in mutande da casa e correndo prima affiancò e poi superò l’uomo che una volta era stato Augusto Ragghianti.
E nel farlo, con la bocca faceva esattamente il rumore di una Lamborghini lanciata a 150 all’ora.

Nessun commento:

Posta un commento