Non accadde
nulla. Mi aspettavo di sentire il placido tonfo nell’acqua, invece vidi il
sasso oblungo scomparire nella massa grigia del lago. Mi chinai, e raccolsi
un’altra pietra scura dal suolo. Feci un nuovo lancio, ma anche stavolta non
sentii niente. Realizzai che non c’erano altri rumori intorno a me. Il vento,
l’acqua, gli animali: tutto taceva. Perfino il mio respiro era silenzioso.
Aprii la bocca, ma non uscì suono. Risi, in silenzio, spinta dal nervosismo.
Poi mi avvicinai all’acqua e vidi il mio volto riflesso nel lago: la pelle
chiara, distesa, gli occhi pieni di vita, i capelli lunghi e neri. Era il mio
viso quando avevo quindici anni. Capii: stavo sognando di nuovo.
“Che ha la
mamma? Prima l’ho sentita ridere. Ha detto qualcosa?” Marta si avvicinò al
letto. Mi carezzò il viso, con un sorriso stanco che presto si spense nei suoi
occhi. Poi si voltò verso sua sorella Giulia. “Sembra tranquilla” rispose.
“Ma ha
mangiato?”
“Sì. Devo
lavarle i denti”. Marta aprì il piccolo astuccio con dentro lo specchio tondo,
lo spazzolino e un tubetto minuscolo di dentifricio, quelli da viaggio. Li
riponeva sempre avvolti da un pezzo di carta colorata. Poi avvicinò lo specchio
alla mia bocca. Per un attimo rividi il mio volto smagrito e grinzoso a cui ero
abituata. Il mio braccio sinistro era bloccato, quello destro avvolto in una
garza che mi fasciava la spalla e parte del corpo. Sentii lo spazzolino bagnato che Marta mi
passava tra le gengive, con troppa delicatezza, come se fossi fatta di vetro
sottile. Potevo sentire il profumo di lei, il sapore di menta in bocca e il
respiro pesante di Giulia, che mi guardava da dietro le spalle della sorella.
Tutto quanto insieme. Accadeva tutto nello stesso momento. Quando ebbe finito
di pulirmi la bocca, premette un panno sulle labbra, per alcuni istanti. Poi
l’allontanò e mi bacio sulla guancia.
“Tutto bene
mamma?”
Io sorrisi. Ma non so cosa videro le mie figlie.
Quello che vidi
io, fu il mio viso di quindicenne , di nuovo. Stavolta ero nella piazza della
chiesa, l’autobus mi stava portando a casa. Ero bello spiare la gente in strada
dal finestrino, nel silenzio. C’erano volti che un tempo conoscevo , vedevo le
loro bocche muoversi, sapevo che voce
avevano avuto, ma ora non sentivo più nulla. Vidi l’insegna della strada, la lessi
dentro di me.”
“Via Marini”
“Mamma … Hai
detto qualcosa?” Giulia si avvicinò al letto. Aveva indosso il cappotto, stava
per andare via, Marta l’aspettava in corridoio.”
“Tra poco
bisogna scendere”
“Sì, mamma.”
Giulia sorrise “Scendiamo tra poco.” Mi passo la mano sul viso, puntando
l’indice sul mio naso come faceva da bambina. “A domani, mamma.”
“A domani”
dissi all’autobus che si allontanava. Poi in silenzio, infilai la chiave nella
porta, e rientrai in casa.
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