Quella mattina di maggio Anna era particolarmente euforica.
Non esisteva un motivo speciale per esserlo, a parte il fatto che la giornata
si annunciava splendida, che presto sarebbe terminata la scuola e che Franco
l’avrebbe aspettata all’uscita per accompagnarla a casa.
C’era, tuttavia, qualcosa d’impalpabile nell’aria, come la
percezione che quel giorno sarebbe stato speciale, l’inizio di una serie
d’eventi straordinari nella giovane vita di Anna
In quell’epoca Anna, anzi Anna Laura, aveva sedici anni; era
una bella ragazza, bruna, florida, con un sorriso radioso.
Come ogni mattina, andava a scuola in bicicletta, passando
dai Lungarni.
Le piaceva tanto quel tragitto che la portava a Santo
Spirito. Ne conosceva ogni angolo, ogni bottega; anche i rumori e gli odori le
erano familiari, come l’allegro pigolio dei bimbi che entravano all’asilo o il
profumo di schiacciata calda appena sfornata nella bottega della Pierina.
Salutava tutti con gran cordialità, ma il sorriso più smagliante lo riservava
al vecchio fotografo Luigi, un vero artista, autore dei suoi ritratti più belli.
Arrivò prima del solito quella mattina. Il bidello, infatti,
aveva appena aperto il pesante portone dell’antico palazzo storico di Via Santo
Spirito che ospitava l’Istituto Femminile Ginori Conti. Si trattava della
scuola femminile più prestigiosa di Firenze. Aveva il compito molto impegnativo
di formare la nuova generazione di perfette fanciulle fasciste, future padrone
di casa impeccabili e madri feconde e virtuose, secondo i dettami
dell’ideologia vigente.
Le ragazze apprendevano l’arte del cucito e del ricamo,
ma studiavano anche le materie letterarie e scientifiche, la lingua francese e
la musica. Una volta ottenuto l’ambito diploma, erano pronte per entrare
in società; tuttavia, le più emancipate e meno abbienti avrebbero potuto
addirittura lavorare come insegnanti d’Economia Domestica nelle scuole
pubbliche, sempre con il permesso della famiglia e del marito, beninteso!
Anna entrò in aula e andò a sedersi accanto all'amica Wally,
unica depositaria dei suoi piccoli, innocenti segreti, il più grande dei quali
era il tenero idillio appena nato con Franco, giovane studente universitario,
timido e rispettoso.
“Silenzio, Signorine! Che succede stamattina?” la voce
stridula della professoressa d’italiano interruppe quell’allegro cicaleccio.
Ma le ragazze facevano una gran fatica a stare zitte;
una strana eccitazione aleggiava nell’aria, loro sapevano che avrebbero dovuto
svolgere un compito in classe del tutto particolare.
“Ma insomma! Silenzio!” si spazientì l’insegnante, ottenendo
finalmente un po’ di calma.
“Allora, signorine, in qualità di Madrine di Guerra, ognuna
di Voi è pregata di scrivere una lettera a un soldato in Africa Orientale”.
In quegli anni, infatti, l’esercito italiano era impegnato in
una guerra contro l’Abissinia per la conquista dell’Impero e quei giovani
soldati, lontani da casa, avrebbero trovato conforto nel ricevere una lettera
dall’Italia, specialmente se a scriverla fosse stata una giovane studentessa,
di specchiata e virtuosa fede fascista.
E così Anna scrisse la sua lettera a uno sconosciuto e
anonimo soldatino in Africa. Raccontò di sé, della sua vita, dei suoi sogni e
aspirazioni. Confidò la sua passione per il cinematografo e per i divi di
allora, tra i quali primeggiavano Greta Garbo, Robert Taylor e Frederic March.
Alla fine si firmò Anna Laura.
Trascorsero alcuni mesi. Nel frattempo ci furono le vacanze
estive e l’inizio di un nuovo anno scolastico
Un pomeriggio di ottobre, tornando a casa da scuola, Anna
trovò una lettera da Mogadiscio, firmata Giuseppe, un sergente siciliano,
attendente del Generale Graziani, il quale scriveva di aver scelto casualmente
la sua lettera attratto dal nome Anna Laura, che trovava molto dolce.
Anna fu gradevolmente sorpresa perché, nel frattempo, aveva
quasi dimenticato di aver scritto quella lettera e poi era convinta che, con
tutto quello che avevano da fare i soldati in Africa, nessuno avrebbe mai avuto
il tempo e la voglia di risponderle.
Iniziò così, in modo molto spontaneo, una fitta
corrispondenza tra il soldato catanese e la studentessa fiorentina. Si
scrivevano dandosi del Voi, naturalmente, secondo i dettami del regime. Presto
ci fu uno scambio di fotografie e Anna constatò con piacere che Giuseppe era un
gran bel ragazzo, con affascinanti occhi verdi, vagamente somigliante a quel
Robert Taylor, suo attore preferito.
Nel maggio del 1938 Giuseppe, detto Pippo, ormai a guerra
d’Africa finita, si recò apposta a Firenze per conoscere Anna.
Anna andò alla stazione ad accoglierlo, accompagnata dalla
zia Bruna, sorella nubile di sua madre e dal nonno Domenico. Il cuore le
batteva forte mentre aspettava il treno; era emozionata all’idea di poterlo
finalmente incontrare di persona.
“Mah, chissà come sarà?” borbottava la zia, “magari ti ha
spedito la fotografia di un altro, di un divo del cinema. E se poi è brutto,
piccolo e nero? E con la coppola in testa?”.
Ma il giovanotto che all’improvviso si materializzò,
avvicinandosi a loro, sorridente nella sua splendida divisa bianca,
corrispondeva in pieno al ritratto che Anna custodiva gelosamente nel diario di
scuola.
“Questo non deve uscire di casa!” bisbigliò la zia Bruna.
“Però! Non è per niente racchio!” mormorò il nonno,
seminascosto dietro una colonna.
Fu amore a prima vista. Non si sarebbero più lasciati.
Purtroppo, di lì a poco, sarebbe scoppiata la seconda guerra
mondiale e i due innamorati avrebbero dovuto aspettare molto tempo prima di
coronare il loro sogno.
Furono anni difficili, pieni di pericoli, rinunce e lunghe
separazioni.
Finalmente nel dicembre del ’44 riuscirono a sposarsi e ad
organizzare un banchetto di nozze più che dignitoso, grazie anche alle generose
provviste alimentari offerte da alcuni soldati inglesi con i quali avevano
fatto amicizia. Fu una festa molto allegra, nonostante ci fosse ancora la
guerra.
Anna indossava un cappotto blu, cucito con il panno dei
mantelli dei carabinieri, ma era lo stesso bellissima e luminosa, nonostante
l’abbigliamento scuro, così inconsueto per una giovane sposina.
Si brindò e si ballò tutta la notte, con una vera orchestra
dell’EIAR, la RAI di allora, diretta dal maestro Ferrari, amico di Giuseppe.
Qualche anno dopo nacque una bambina. La chiamarono
Donatella.
Anna e Giuseppe erano i miei genitori.
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