giovedì 2 febbraio 2017

PICCOLO PERCORSO ALL’INTERNO DELLA TEORIA SULL’ASSEMBRAMENTO di Andrea Mitri

Il 19 marzo 1997 mentre passeggiava con la moglie per Firenze, l’antropologo svizzero Dieter Meier, venne circondato da un gruppetto di zingare insistenti nel chiedergli l’elemosina. Mentre la moglie cercava di difendersi a colpi di giornale ( La Stampa, sembrerebbe) , l’uomo ebbe d’improvviso una illuminazione: e nel tempo che il suo portafoglio si prese per volare via,  sotto le capienti gonne di una ragazzina poco più che decenne, egli si sorprese a formulare i primi punti della “teoria dell’assembramento”, che avrebbe segnato il suo percorso di lavoro per gli anni successivi.

La “teoria dell’assembramento” è presto detta e consta di 4 punti fondamentali.

Il primo asserisce che ogni individuo collegato, anche temporaneamente, in uno spazio con un altro individuo non è più solo.

Il secondo che si ha assembramento quando perlomeno 7 individui sono collegati, anche temporaneamente, in uno spazio ristretto.

Il terzo che si ha assembramento fino a quando nello spazio non interviene una forza, non necessariamente pubblica, che riporta gli individui ad uno stato di solitudine.

Infine il quarto, e più interessante, è il punto che crea le sottoclassi di “assembramento difensivo” e “ assembramento offensivo”.

Su queste due definizioni il dibattito nel primo decennio del nuovo secolo si è svolto con toni molto accesi. Se infatti il concetto di assembramento offensivo, pur osteggiato da filosofi quali Herbert Neuer e Aureliano Casillas, ha trovato a lungo andare ampio consenso nella comunità intellettuale europea e statunitense, quello difensivo è stato fin da subito messo in discussione da intellettuali di rango quali Aldo Albertosi e Francois Proud’Homme , tanto per citare i due più noti tra i numerosi strenui oppositori.

L’idea che Proud’Homme esplica in “ Settari o mescolati” nel 2001 ( con qualche fortuna si può trovare su e Bay la prima e unica edizione italiana del 2002 con prefazione apparentemente atipica di Reinhold Messner) è che è proprio dell’ assembramento il suo crearsi in funzione di reazione e quindi di risposta indirizzata verso un “oggetto scatenante”, sia esso cosa, persona o idea, ben preciso. E anche se apparentemente il suo crearsi nasce da un bisogno di “difesa” di un torto subito, in realtà esso, essendo per sua natura dinamico, finisce con il non poter altro che essere di segno offensivo.

Di fronte a tale asserzione Dieter Maier oppone,  nei primi mesi del 2003, un piccolo libretto di 37 pagine, edito da Minime Edizioni, in cui porta a conoscenza dei lettori i suoi studi sulla tribù degli Aranga, comunità di non più di 200 persone all’interno della foresta amazzonica, a vocazione fortemente matriarcale.

In “Koabokoatsi” ( titolo del libro che in arangaij significa grossomodo “ cucina tu” ) l’antropologo racconta i suoi 37 giorni a contatto con le donne di questa tribù ( gli uomini possono apparire in determinate ore del giorno e non più di tre per volta ). Cinque settimane, lungo le quali Dieter ha seguito le donne durante la caccia, durante la costruzione delle capanne e soprattutto durante il “Kualapur”, la festa annuale della fertilità che si tiene nella prima quindicina di  maggio.

Il tema dell’ assembramento difensivo prende forza nel libro, proprio all’interno di questo breve capitolo, in cui l’antropologo racconta come nel corso di quei quindici giorni, gli uomini possono tranquillamente uscire ed unirsi in gruppo alle donne, creando degli assembramenti di 8/10 persone, all’interno delle quali viene contrattata la loro prestazione fecondativa, che avverrà nell’ultima notte della quindicina. L’assembramento in tal caso, sottolinea il Meier, avviene in funzione prolungativa della specie, creato nell’intento di intessere relazioni che portino alla difesa della propria razza e popolazione: quindi funzione difensiva. Ma non solo. Seguendo le donne nella caccia quasi giornaliera, l’antropologo entra in contatto con una specie animale a lui sconosciuta, che le indigene chiamavano aftelaari: una specie di topo dal lungo pelo , con una caratteristica di comportamento ben precisa. Quando un evento esterno minaccia il gruppo, i componenti dello stesso si attorcigliano, creando una forma facilmente confondibile con quella del laari, un arbusto tipico della zona, già citato da Mark Grobbelaar in “ A journey in the name of plants” di cui credo non esista edizione italiana. E’ il tipico caso di ”assembramento difensivo” che segue leggi della Natura,  asserisce Meier, che comunque nel suo classico pessimismo culturale conclude scrivendo “Tutto ciò non impedisce alle donne degli Aranga di distinguere facilmente l’arbusto originale da quello “assemblato” e agli animali di sopravvivere” alla cottura sotto cenere tipica della cucina arangaji.”

Tale affermazione, figlia dell’evidenza e del buon senso, apre una falla nella teoria maieriana, dando il via al dibattito sull’inutilità dell’ “assembramento difensivo” che ha infiammato gli ultimi anni del primo decennio del nuovo secolo.

“Anche se è impossibile negare che la Natura riconosca l’utilità dell’ “assembramento difensivo preventivo” (ribatte Roland Barthez  in “ Leggi naturali inapplicabili alla poetica del lieto vivere”)  tuttavia si può ben confutare che è essenziale nell’assembramento, un raggiungimento di un qualche stato utilitaristico, che muti la condizione degli assembranti. Qualora questo non avvenga , l’assembramento stesso perde di senso e non vi è legge naturale che non abbia senso”.

Parole che nel 2010 suonano come condanna all’intero lavoro di Dieter Meier e ne limitano da allora fortemente la credibilità all’interno del dibattito culturale europeo. Il fatto che il suo ultimo lavoro , che avrebbe dovuto intitolarsi “C’è assembramento nell’universo ?”, non sia riuscito a trovare un editore nemmeno in Brasile, la dice lunga non solo sulla fondatezza delle sue teorie, ma anche sulla volubilità delle convinzioni culturali che attraversano l’umanità.

A meno che non si voglia utilizzare come punto fermo della cultura occidentale, il fatto che ancora oggi le zingare derubano i turisti di passaggio a Firenze.

Ma questa è un’altra teoria, di cui qui, non siamo titolati a parlare.

 

Nessun commento:

Posta un commento