La “teoria dell’assembramento” è presto detta
e consta di 4 punti fondamentali.
Il primo asserisce che ogni individuo
collegato, anche temporaneamente, in uno spazio con un altro individuo non è
più solo.
Il secondo che si ha assembramento quando
perlomeno 7 individui sono collegati, anche temporaneamente, in uno spazio
ristretto.
Il terzo che si ha assembramento fino a
quando nello spazio non interviene una forza, non necessariamente pubblica, che
riporta gli individui ad uno stato di solitudine.
Infine il quarto, e più interessante, è il
punto che crea le sottoclassi di “assembramento difensivo” e “ assembramento
offensivo”.
Su queste due definizioni il dibattito nel
primo decennio del nuovo secolo si è svolto con toni molto accesi. Se infatti
il concetto di assembramento offensivo, pur osteggiato da filosofi quali
Herbert Neuer e Aureliano Casillas, ha trovato a lungo andare ampio consenso
nella comunità intellettuale europea e statunitense, quello difensivo è stato
fin da subito messo in discussione da intellettuali di rango quali Aldo
Albertosi e Francois Proud’Homme , tanto per citare i due più noti tra i
numerosi strenui oppositori.
L’idea che Proud’Homme esplica in “ Settari o
mescolati” nel 2001 ( con qualche fortuna si può trovare su e Bay la prima e unica
edizione italiana del 2002 con prefazione apparentemente atipica di Reinhold
Messner) è che è proprio dell’ assembramento il suo crearsi in funzione di
reazione e quindi di risposta indirizzata verso un “oggetto scatenante”, sia
esso cosa, persona o idea, ben preciso. E anche se apparentemente il suo
crearsi nasce da un bisogno di “difesa” di un torto subito, in realtà esso,
essendo per sua natura dinamico, finisce con il non poter altro che essere di
segno offensivo.
Di fronte a tale asserzione Dieter Maier
oppone, nei primi mesi del 2003, un
piccolo libretto di 37 pagine, edito da Minime Edizioni, in cui porta a
conoscenza dei lettori i suoi studi sulla tribù degli Aranga, comunità di non
più di 200 persone all’interno della foresta amazzonica, a vocazione fortemente
matriarcale.
In “Koabokoatsi” ( titolo del libro che in
arangaij significa grossomodo “ cucina tu” ) l’antropologo racconta i suoi 37
giorni a contatto con le donne di questa tribù ( gli uomini possono apparire in
determinate ore del giorno e non più di tre per volta ). Cinque settimane,
lungo le quali Dieter ha seguito le donne durante la caccia, durante la
costruzione delle capanne e soprattutto durante il “Kualapur”, la festa annuale
della fertilità che si tiene nella prima quindicina di maggio.
Il tema dell’ assembramento difensivo prende
forza nel libro, proprio all’interno di questo breve capitolo, in cui
l’antropologo racconta come nel corso di quei quindici giorni, gli uomini
possono tranquillamente uscire ed unirsi in gruppo alle donne, creando degli
assembramenti di 8/10 persone, all’interno delle quali viene contrattata la
loro prestazione fecondativa, che avverrà nell’ultima notte della quindicina.
L’assembramento in tal caso, sottolinea il Meier, avviene in funzione prolungativa
della specie, creato nell’intento di intessere relazioni che portino alla
difesa della propria razza e popolazione: quindi funzione difensiva. Ma non
solo. Seguendo le donne nella caccia quasi giornaliera, l’antropologo entra in
contatto con una specie animale a lui sconosciuta, che le indigene chiamavano
aftelaari: una specie di topo dal lungo pelo , con una caratteristica di
comportamento ben precisa. Quando un evento esterno minaccia il gruppo, i
componenti dello stesso si attorcigliano, creando una forma facilmente
confondibile con quella del laari, un arbusto tipico della zona, già citato da
Mark Grobbelaar in “ A journey in the name of plants” di cui credo non esista
edizione italiana. E’ il tipico caso di ”assembramento difensivo” che segue
leggi della Natura, asserisce Meier, che
comunque nel suo classico pessimismo culturale conclude scrivendo “Tutto ciò non impedisce alle donne degli
Aranga di distinguere facilmente l’arbusto originale da quello “assemblato” e
agli animali di sopravvivere” alla cottura sotto cenere tipica della cucina
arangaji.”
Tale affermazione, figlia dell’evidenza e del
buon senso, apre una falla nella teoria maieriana, dando il via al dibattito
sull’inutilità dell’ “assembramento difensivo” che ha infiammato gli ultimi
anni del primo decennio del nuovo secolo.
“Anche
se è impossibile negare che la Natura riconosca l’utilità dell’ “assembramento
difensivo preventivo” (ribatte Roland Barthez in “ Leggi naturali inapplicabili alla
poetica del lieto vivere”) tuttavia si può ben confutare che è
essenziale nell’assembramento, un raggiungimento di un qualche stato
utilitaristico, che muti la condizione degli assembranti. Qualora questo non
avvenga , l’assembramento stesso perde di senso e non vi è legge naturale che
non abbia senso”.
Parole che nel 2010 suonano come condanna
all’intero lavoro di Dieter Meier e ne limitano da allora fortemente la
credibilità all’interno del dibattito culturale europeo. Il fatto che il suo
ultimo lavoro , che avrebbe dovuto intitolarsi “C’è assembramento nell’universo
?”, non sia riuscito a trovare un editore nemmeno in Brasile, la dice lunga non
solo sulla fondatezza delle sue teorie, ma anche sulla volubilità delle
convinzioni culturali che attraversano l’umanità.
A meno che non si voglia utilizzare come
punto fermo della cultura occidentale, il fatto che ancora oggi le zingare
derubano i turisti di passaggio a Firenze.
Ma questa è un’altra teoria, di cui qui, non
siamo titolati a parlare.
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