Plot twist. L'allora davvero sensazionale
annuncio, che ancora mi rimbomba nelle tempie, venne dato dal vispo sessantenne
in un momento di stucchevole confidenza alcolica ad un selezionatissimo
uditorio: il sottoscritto e altri sei ragazzi oggi affermati ai massimi
livelli, i cui nomi non riporto per discrezione.
Il pomeriggio di quel venerdì 13 era stato
lasciato libero dopo una sfiancante visita a Les Invalides e al mausoleo
di Napoleone. Verso le 16, tornando da una passeggiata postprandiale intorno a place
de Clichy, incrociammo nei corridoi dell'albergo il Giuseppi già più che
alticcio; inveiva contro gli altri docenti che accompagnavano la gita.
Probabilmente sull'orlo di una crisi depressiva, si era impallato in un
terribile loop, ripetendo per quattordici volte: 'Perché non è
possibile! Me ne vado!', sempre facendo la mossa di andarsene e poi
tornando indietro, in un'interminabile sequenza dal sapore antico. Interrotto
provvidamente il suo ormai insostenibile crescendo, ci adoperammo ad
allontanarlo dai mortificatissimi colleghi, spostandoci nella hall e infine
assecondando la sua proposta di uscire per andare a bere qualcosa.
Rinfrancato dal nostro conforto e dall'aria
profumata del marzo parigino, il professore ci condusse con ritrovata sicurezza
in un vicino bistrot, incassato fra i vicoli a ridosso di rue
Legendre. Un'educazione claustrale mi aveva fino ad allora consacrato alla
sobrietà, e bastò un singolo shottino di nonsocosa per catapultarmi nel nirvana.
Ricordo ancora distintamente la sensazione di ovattamento progressivo
mentre parlavamo seduti al tavolino di
un ambiente gradevole e caratteristico, tappezzato a tinte calde. Mi stavo
godendo Parigi nel suo più inesprimibile Sublime, quando la conversazione – che
non seguivo, limitandomi a ritmiche espressioni d'approvazione – tornò a
chiamare la mia attenzione. Viportoaputtane! Viportoaputtane!
Stasera vi porto a puttane. Non era uno dei
miei soliti sogni che impastavano cartoni animati e traumi scolastici, anche se
lo sembrava. Perso nei miei film, non avevo presentito l'imminenza dialettica
di quella memorabile climax: un aprosdòketon frastornante, per capirci
come al bar, di cui avevo perso le nodali premesse.
Ma ormai era stato detto. Stasera vi porto a
puttane, e tirarsi indietro non parve d'acchito un'opzione praticabile.
Destinazione naturale il famosissimo quartiere a luci rosse di Pigalle.
Impossibile spiegare a parole cosa potesse sembrarmi a quel tempo una notte in
quel leggendario luogo di perdizione: una cosa indescrivibile, di molto al di
là di ogni mio orizzonte. Non ero il solo ad aver sobbalzato: a parte un paio
di esaltati senzadìo che reagirono con scomposto entusiasmo, noialtri di
ancestrale retaggio parrocchiale, nel migliore dei casi fidanzati da eoni con
cessi inespugnabili, restammo esterrefatti.
Trainati dai più “bombardini” ci
lasciammo però convincere, chi dilaniato dalla curiosità, chi per indolenza, e
chi, da osceno puritano della domenica, per non contrariare l'autorità
docenziale. In una sorta di patetica distorsione dell'Attimo Fuggente,
officiammo l'istituzione della nostra risibile Setta dei Poeti Estinti:
proclamato il Giuseppi maitre de plaisir e datici appuntamento per la
mezzanotte, rientrammo in albergo.
La sera stessa, mentre la gente per bene
dormiva, sfilammo furtivi per le avenues e i boulevards fino a place
Pigalle. Starnazzando in un ingiustificato grammelot francofono e
millantando à la Calboni una navigata esperienza dei diversi locali del
quartiere, il prof. impose una spedita rassegna di vari squallidi spogliarelli
in altrettante discutibili venues, che mi turbarono per la dicotomia fra
performers, rigorosamente obese o anoressiche.
Arrivammo alla resa dei conti all'improvviso:
appena entrati in un locale più esplicitamente sciantoso, il Giuseppi sbottò in
un italianissimo 'Questi ragazzi vogliono scopare!' facendoci
scomparire. Di più, e letteralmente, tale formulazione, suonò come una
terribile squilla per i più titubanti. Da qui in poi la storia dovrebbe avere
più narrazioni parallele, in quanto ci disperdemmo subitaneamente con esiti
diversi. Io e altri due fidi sfigati tornammo in strada con un doppio carpiato
mortale, in lacrime all'idea di venir violentati. Sottrattomi all'imponderabile
carnaio (di cui esistono resoconti secretati del tutto sconcertanti che,
ancora, mi astengo dal riportare), camminavo nella notte. Insensibile ai
rimpianti ma sbomballato, rispondevo ai viandanti notturni che mi salutavano
complici: giunto in albergo per primo, fondai una band, avviando un regno
felice nel settore della ristorazione.
Concludo il mio contributo con un
decontestuale MESSAGGIO ALLA COMUNITÀ MUSICALE: avanti colla prossima canzone,
perdìnci, a calcinculo verso l'eccellenza! Rimini rimini siamo noi, però rimini
daccheccosa, chissà cos'é.
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