giovedì 2 febbraio 2017

JURI SENZA ALI di Giovanna Daddi

Nella notte c'era stata un'effrazione al Liceo Leonardo da Vinci. Il Preside aveva chiamato la Polizia, finora nessun indizio. I registri erano buttati a casaccio in terra, i cassetti divelti, i libri strappati. Presto si accorsero che un solo registro era sparito. Effrazione e furto di documento ufficiale. Ad opera di ignoti.

Già il Preside Benvenuti non era amato, ora il Consiglio d'Istituto chi lo avrebbe sentito? Genitori imbestialiti, dopo occupazioni a caso, atti vandalici, spaccio davanti alla scuola, anche questa. E la scuola che finiva, di nuovo, sul giornale, non per una buona notizia.

 
Il Prof. Vitali, che insegnava filosofia, sapeva già dove sarebbe andato a parare il Preside. Lo aveva appena convocato nel suo ufficio, stava andando da lui, con la sensazione che avrebbe assistito a una scena già vista, parole già sentite.

“Vitali allora? Lo sa lei come lo so io: cercherà di difenderlo anche a questo giro, ma io ho già deciso. Chiederò la sospensione, ne discuteremo domani in Consiglio”

“Preside, Baccetti ha una situazione difficile, prima di trarre conclusioni almeno lasci che ci siano delle indagini formali”

“Indagini formali? Vitali mi faccia il piacere: con tutti i casini che ci sono, secondo lei la Polizia ci dedicherà la squadra speciale per un furto di un registro? Mi vien da ridere...guarda caso manca proprio il registro di classe sua. E gli è andata bene finora, perché è minorenne. Qui ci deve stare ancora buono buono 2 anni, se vuole sperare di arrivare al diploma: tra 6 mesi compie 18 anni, e allora finalmente le pagherà tutte.”

“Che prove ha che sia stato lui, scusi?”

“Non ho bisogno di prove: ha guidato tutte le occupazioni, ha allagato l'edificio, ha pisciato- PISCIATO- in palestra davanti alla professoressa Paoli, spaccia fumo, si è portato pure una prostituta nel bagno a ricreazione. Del resto, la “famiglia” da cui proviene non lascia molti dubbi su come finirà...E' stato bocciato 3 volte, in gita ha dato fuoco al pullman”

“Beh no, non c'erano prove che fosse stato lui. Nella mia materia, come sa, ha la media del 7. E la filosofia non è proprio una roba da coglioni: o la capisci, o non la capisci. Juri la capisce, e la studia.”

“Senta Vitali, se vuole fare l'assistente sociale si accomodi altrove. Ora mi lasci lavorare, che devo preparare la relazione sull'accaduto per domani, quelle belve assetate di sangue chiederanno la mia testa, al solito. Chiudiamola qui. Arrivederci.”
 

Vitali uscì con il cuore oppresso e la rabbia sorda di un amico tradito. Si diresse sicuro in classe, sperando di trovarsi davanti Juri per interrogarlo e chiedergli conto dell'ennesima delinquenza.

Ma Juri Baccetti, stranamente, non c'era.

Anche se andava bene solo in filosofia, a scuola andava con regolarità: piuttosto che stare a casa sua, sarebbe andato anche nell'esercito.

Suo padre e suo fratello facevano avanti e indietro dalla galera, sua madre era morta quando lui era piccolo. In casa c'era solo la nonna, vecchia, malata e sinceramente rincoglionita. Continuava a chiamarlo con il nome del fratello, pensava di parlare con lui. Forse non sapeva neppure che Juri esisteva in quanto Juri.

 
Vitali sapeva che il ragazzo era il colpevole perfetto, già designato e pronto ad essere indicato come capro espiatorio al Consiglio d'Istituto. Del resto non aveva mai fatto niente per far credere il contrario. A difenderlo aveva solo lui, Vitali, e la Sardoni, la prof. di matematica, inaspettatamente umana, con un passato da sindacalista e volontaria della misericordia. Juri in matematica andava molto male, ma lei cercava di aiutarlo, di fargliela capire in qualche modo, provando a convincere i compagni ad aiutarlo a studiare. Ma era un'impresa: i genitori non volevano uno come il Baccetti per casa, ai loro figli dicevano che “quel drogato in casa nostra non entra”. E così Juri non aveva amici, i compagni si interessavano a lui solo per il fumo, o si vantavano di conoscerlo quando combinava una delle sue bravate.


Vitali continuava ad essere perplesso: sfondare una finestra per rubare un registro non era da lui. Juri se ne fregava del rendimento scolastico, non aveva bisogno alcuno di dimostrare di essere bravo. Nessuno si interessava ai suoi voti, né a casa sua né altrove.

Qualcosa non quadrava.

Ci rimuginò per giorni, a scuola, a casa la sera. E la notte non riusciva a dormire.

Intanto il Preside aveva già fatto partire la macchina: aveva dato un colpevole ai genitori, e aveva già deciso per la sospensione del ragazzo. Il quale, per suo conto, era tornato a scuola come se niente fosse “Ho avuto l'influenza Prof.”

Vitali ci parlò, gli spiegò la situazione. Juri gli disse candidamente che lui non era stato “Io lo so, Juri, ma tu sai anche cosa pensano tutti e, se non possiamo dimostrare il contrario, per te si mette male”. Per la prima volta da quando lo conosceva, Juri chiese aiuto al suo prof. “Non sono stato io, glielo giuro. Non direi mai bugie, non a lei. E poi perché avrei dovuto far sparire un registro? Mi bocciano comunque...Capisco che sia facile pensare a me, ma questa volta non c'entro” “Io questo lo so Juri. Puoi provarlo? Hai un alibi per quella sera? Eri con qualcuno che può garantire per te?”

“Ero con qualcuno si. Stavo a fare il palo a mio fratello che rubava in un magazzino all'Osmannoro...mi sa che non posso dirlo alla Polizia, lei che dice?”

Vitali, a quel punto, era disperato. Doveva parlare con la Sardoni, era l'unica con cui poteva sperare di trovare una soluzione. La sospensione per Juri significava la fine: lo conosceva bene, era orgoglioso, ma senza possibilità. Buttato fuori da scuola sarebbe stato risucchiato dal gorgo delinquenziale di quella sua famiglia che famiglia non era, votata all'autodistruzione, condannata all'essere un nulla, ai margini da cui non si esce.

 
La mattina dopo s'incamminò verso la Scuola, aveva lezione alla prima ora, pensava a Juri, alla sua assenza quasi certa quel giorno, al Preside Benvenuti e alla sua gratuita cattiveria, all'abdicazione al suo ruolo di educare, recuperare, anche salvare sì, anche quello era un compito della scuola, di una scuola degna di questo nome. Si sentì impotente, quasi complice di un sistema che voleva pervicacemente negare la seconda possibilità a un ragazzo di 17 anni la cui unica colpa era di esser nato da un errore. Il quale forse, a sua volta, aveva l'unica colpa di esser nato anche lui da un errore...E via e via.

Era quasi arrivato, stava per deviare come sempre all'edicola di Mario, dove ogni mattina, prima di entrare a scuola, comprava il giornale, quando si sentì chiamare. Si voltò e vide Ahmed, uno dei custodi “Professore Sergio Vitali io devo parlarti, io ho visto quella sera, io so una cosa. Ho bisogno di dirla a te”. Sergio si avvicinò, lo prese sotto braccio e lo portò al bar “Ok Ahmed, ti offro la colazione, ci sediamo al tavolino lontano da tutti e mi dici” Aveva un misto di timore e speranza, doveva sentire la storia di Ahmed.

 
“Io quella sera della finestra rotta ero lì sotto, passavo di lì, e ho visto un ragazzo, no Juri, lui non era. Era biondo e grosso. Juri è magro, come me, con quei capelli strani a nodi”

Juri aveva i dread, di sicuro non era biondo, e non era ben piantato. Era uno smilzo che, forse, a pensarci bene, non aveva neppure la forza di rompere un finestrone enorme.

“Grazie Ahmed, è un'informazione molto importante. Dobbiamo subito andare dal Preside, insieme, a dirglielo”

“Professore Sergio no, non possiamo. Quello biondo e grosso era Leonardo Benvenuti, il figlio del Preside”.

Ecco.

La testa di Vitali esplose.

Entrò a scuola cercando di non correre, e si mise a cercare la Sardoni, la trovò, la prese da una parte e le raccontò tutto. La professoressa fu risoluta: dovevano andare dal Preside e parlarci in privato. Ovviamente senza minacciarlo, ma dandogli la possibilità di ritirare le accuse a Juri alla luce di quelle informazioni. Dovevano trattare la questione con discrezione, e fare in modo di tirare fuori Juri dal casino.

Vitali si fece convincere, la Sardoni aveva ragione. Chiese un incontro a Benvenuti “Ci vado da solo Graziella, non voglio coinvolgere Ahmed, capace che quello se la rifà pure con lui. Non gli dirò la fonte, gli dirò solo che ci sono testimoni. E vediamo come reagisce”


Si ritrovò nell'ufficio di Paolo Benvenuti, Preside del Leonardo da Vinci ossessionato dai media, e da 20 anni di onorata carriera.

E gli disse tutto. Con il tono calmo di chi pensa di avere l'avversario in pugno. “Paolo, ti do del tu, ci conosciamo da anni, ora facciamo finta di essere al bar. Pensa a quello che ti ho detto, parla con tuo figlio, chiedigli conto del gesto che ha fatto. La Sardoni mi ha confermato che Leonardo aveva preso dei voti molto brutti in matematica, rischiava seriamente di essere rimandato. E a te non aveva detto niente, immagino”

Il Preside era sempre stato severo con suo figlio, non ammetteva errori, doveva essere il primo della classe.

“Chi ti ha detto di averlo visto, Sergio?” Vitali doveva tenere fuori Ahmed, quindi fu vago su quel punto “Chi vuoi proteggere Sergio? Qualcun altro dei tuoi marginali derelitti? Comunque non m'interessa, mio figlio non è stato: figurati se mio figlio fa una cosa del genere. Queste sono balle, illazioni. Finiamola qui”

“Paolo, ascoltami. Non c'è alcun bisogno che tu denunci tuo figlio: ma adesso che hai la dimostrazione che non è stato Juri, dì semplicemente che c'è stato uno sbaglio, che ci sono le prove che non è stato Baccetti, fai procedere contro ignoti e via, affronta il Consiglio, ma almeno non inguaiare un innocente!”

Seguì un alterco, Benvenuti era furioso: la notizia che era stato suo figlio gli aveva fatto crollare il mondo addosso e, per reazione, divenne ancora più aggressivo.

La sera convocò Leonardo nello studio e lo affrontò a manrovesci. Senza chiedere perché, senza accettare spiegazioni. Lo aggredì, e gli disse di dimenticare quella storia e di non provare mai più a metterlo nella merda.

Il giorno dopo, con la crudeltà vendicativa dell'animale ferito, sospese Juri Baccetti da Scuola.
 
Vitali si dette malato, non voleva tornare in quel covo di ipocriti, non voleva vedere il Preside, altrimenti gli avrebbe spaccato la faccia.

Ahmed pianse. La Sardoni pensò di raccontare la storia ai giornali, ma il Benvenuti aveva già mandato una letterina a un suo amico intimo che lavorava al Corriere, e la storia era già bella e pronta e confezionata.

Dopo circa una settimana Vitali non ce la fece più, tornò a lavoro, e, appena uscito, andò a cercare Juri. Sapeva dove abitava, al quartiere dei Greci, le case minime, come le chiamavano.

Lo girò in lungo e in largo, chiese a tutti. Nessuno sapeva dove abitavano esattamente i Baccetti.

A sera inoltrata rinunciò e tornò a casa. Non dormì.

La mattina dopo gli giunse la notizia.

Juri lo avevano trovato morto, ai giardinetti del Terzolle. Overdose.

Il figlio del Preside quell'estate, dopo la fine della scuola, andò in viaggio studio negli States.

Vitali si licenziò, tornò al suo paese in Friuli, si mise sul terrazzo della casa dei suoi a guardare le montagne. In silenzio.

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