Cominciò a fare
facce mostruose. Tirandosi il naso, incrociando gli occhi, esorcizzava il suo
scorno per quel dente solitario, abbandonato sul bordo del lavandino mentre la
bocca orfana si piegava in mille orribili angolature.
Era inciampata
in una radice di merda. Avrebbe volentieri dato fuoco a tutti gli alberi del
pianeta, a ripensarci. Una radice di merda e ZA! Era finita a faccia in giù,
una mano ancora in tasca. Riflessi zero. Solo una fitta alla bocca, e poi quel
pezzo di dente saltato via come una biglia. In ginocchio, un palmo sanguinante
e graffiato per aver tentato di attutire la caduta, l’altra mano (inutile
stupida) finalmente estratta che cercava tra la terra il frammento mancante,
era riuscita a ribeccarlo tra i ciuffi d’erba e l’asfalto sbeccato. Con il
dente in mano aveva pianto, mentre nessuno la vedeva, quel suo destino
fantozziano, e tutta la rabbia di non riuscire a combinare niente di buono.
Ora, davanti
allo specchio, provava a riattaccare il dente tenendolo con la punta delle dita
e avvicinandolo all’origine. Avrebbe potuto fare una specie di kintsugi, con
una bella linea d’oro a coprire la cucitura. Magari avrebbe lanciato una moda.
Chissà se quel
mezzo dentino valeva qualcosa, per la fatina. Avrebbe potuto metterlo sotto il
bicchiere e sperare di trovarci una monetina, il giorno successivo.
Si guardò con
aria scoraggiata. Scosse la testa.
Poteva mangiare
del cioccolato consolatorio ora? O sarebbe stata un’azione devastante? La carie
si sarebbe formata alla velocità della luce, ora che il dente era rotto?
Avrebbe dovuto considerarla una ferita aperta, da cui ogni tipo di maledetta
aggressioni avrebbe trovato più facilmente una strada? Una specie di fessura
nel recinto, un vulnus, la crepa che avrebbe fatto crollare tutta la
costruzione.
Prese lo
spazzolino da denti e ne appoggiò l’estremità dell’impugnatura al centro dello
specchio. Poi afferrò la spazzola e con un colpo secco e violento la usò alla
maniera di un martello contro lo spazzolino, come a inchiodarlo nello specchio.
Il vetro non esplose ma si crettò pacatamente, fino a raggiungere le estremità
della cornice. Tanti minuscoli frammenti proiettavano ora un’immagine
caleidoscopica dell’interno del bagno. La sua figura era rifranta in milioni di
pezzetti irregolari. I suoi occhi erano diventati almeno trenta, le orecchie
una quindicina, sparse in modo disorganizzato a seconda di come si muoveva. Più
braccia della dea Kalì, nasi in abbondanza, dalle forme irregolari e
inafferrabili. Aveva davanti una persona sbocconcellata, di cui sarebbe stato
impossibile definire il contorno esatto. Ecco, ora la finestra nella sua bocca
non si distingueva più, sostituita da mille e mille irregolarità nella
percezione della propria immagine.
Appoggiò il
pezzo di dente proprio al centro della deflagrazione dello specchio e lo fissò
con lo scotch.
Poi andò a
telefonare al dentista.
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