martedì 1 novembre 2016

FRAMMENTI (I) di Fabio Langellotti

Antonio apre il suo armadietto e tira fuori la camicia bianca inamidata, la cravatta verde e nera a righe trasversali e la giacca blu col marchio del Credito Nazionale. Dà una veloce spolverata alle scarpe nere per ridare l’usuale lucentezza e si dirige verso il banco della reception.

Indossa le cuffie per rispondere al telefono, sistema il microfono, accende il pc.

E’ pronto.

“Antonio anche oggi il primo” gli si rivolge sorridendo Manetti, secondo piano, ufficio contenzioso. Antonio gli sorride e controlla che il badge lo faccia passare.

Uno alla volta arrivano tutti e Antonio verifica che le caselline delle presenze si riempiano. Alle 8:42, puntualmente in ritardo, la Calvetti, terzo piano stanza 6, ufficio condizioni. “Antonio, che fatica stamattina. Il grande non si voleva alzare e il piccolo, mentre uscivamo, si è vomitato addosso. Fai bene te a vivere da solo.” E corre, senza aspettare la risposta, nel suo ufficio.

“Credito Nazionale buongiorno sono Antonio” recita come un mantra cento, mille volte al giorno. Accoglie i visitatori, si fa cortesemente consegnare un documento, controlla che non fosse già inserito nell’anagrafe della banca, mentre chiama in stanza il diretto interessato. Quindi divide la corrispondenza e la segnala al destinatario.

“Dai Anto, me la porti?” la voce dell’interessato al telefono

“Dottore come faccio, non posso mica lasciare l’ingresso.”

“Come si dice dalle tue parti? Minchia come sei camurrioso…”

“In realtà dottore sarei napoletano…dottore?” aveva già riattaccato.

La pausa pranzo arrivava tutti giorni sempre molto velocemente perché da fare ce n’era e lui era sempre solo. Si alternava con Poretti, il collega in reception, ma, chissà come mai, i ponti, il mese di luglio –quando c’era più confusione in Direzione Generale- e soprattutto il turno 8-15,30 erano sempre suoi. Tutti i giorni. Da 10 anni. 

“Antonio prenderei il ponte dell’8 dicembre va bene? Devo portare i bambini a Gardaland, tanto te cazzo hai da fare?” Antonio sorrideva e assentiva.

E sorrideva anche quando –in pausa pranzo-  rimaneva dentro mentre Poretti usciva coi colleghi. “Antonio, io andrei con i ragazzi del Leasing. Vuoi che ti portiamo qualcosa?” e correva ad abbracciarlo tirando violenti pugnetti sulla spalla “ma dove lo trovi un collega come me? Ammettilo” Antonio annuiva. Poi pensava che non gli sarebbe dispiaciuto fare cambio, un giorno, e andare –come gli sarebbe spettato- a pranzo coi colleghi.

Era anche vero che nessuno mai lo invitava. Neanche per un caffè.

“Poretti io uscirei.”

“Come?”

“Sarebbe l’ora.”

“Dai cazzo, non mi puoi lasciare ora. Devo andare ai crediti, te l’avevo detto no che mia moglie vuole aprire il centro estetico? Ora quei coglioni dell’agenzia di corso Buenos Aires le hanno bocciato il finanziamento. Ma dico io come si fa?” Antonio annuisce con sorrisi a mezza bocca e leggeri movimenti della testa.

”Ho parlato con Villa, mi ha detto che si sarebbe fatto mandare la pratica e ci pensava lui. Però se vai via, qui chi ci sta?”

“Va bene dai, dieci minuti”

“Tranquillo, vado e torno, tanto dai non è che ti aspettano a casa” ed erompe in una grassa risata tirando una pesante pacca sulla spalla di Antonio.

Non furono naturalmente dieci minuti ma un’ora. Intervallata da un’uscita caffè di venti minuti con tutto l’ufficio.

 
Antonio si cambia e si avvicina alla fermata del tram Cordusio.

Sente vibrare il cellulare. Sicuramente Poretti che non trovava qualche documento. Guarda sullo schermo del cellulare: numero sconosciuto. Risponde

“Francesco, basta” esordisce una flebile voce di donna “non ce la faccio più a fingere” e inizia a piangere.

“Mi scusi ma io…” abbozza Antonio

“Smettila! Non mi interrompere. Già è difficile così!” lo ferma la voce al telefono che riprende “lo sai. Lo sai benissimo. Ne abbiamo parlato.  Ci abbiamo provato. Ma tutte le volte ti guardo, vedo Tommaso. E non posso più sopportarlo. Ti amo, ti amo come non ho mai amato e mai amerò qualcuno nella mia vita. Ma il dolore è insopportabile e parte appena sto con te. Ho già portato via tutta la mia roba da casa. Troviamoci stasera alle 10 in galleria davanti alla Rizzoli. Ma ti prego non mi chiamare fino a stasera. Ci faremmo solo del male e sono stanca.” E attacca.

Antonio guarda esterrefatto lo schermo del suo telefonino. Doveva chiamarla per dirle che il messaggio non era arrivato al destinatario. Che era molto dispiaciuto della vicenda e, se avesse voluto, sarebbe stato anche disponibile a offrirle un caffè per farla parlare.

Compone il numero: spento.

Lo memorizza al nome “Disperata” e cerca il profilo su Whatsapp.

Appare una foto di lei in costume: è molto bella.

Vede il contatto e scopre che l’ultimo accesso era avvenuto due minuti prima della telefonata. Prova a scriverle.

“Mi dispiace di tutto, ma purtroppo ha sbagliato numero. Io mi chiamo Antonio. Sono davvero costernato per quello che sta vivendo. Se vuole le offro volentieri un caffè. Ma le ribadisco che non sono il suo Francesco“

Lo rilegge. Costernato fa molto mail aziendale, ma non gli veniva in mente un altro termine. Lo invia.

Arriva il tram e –leggermente più tranquillo- torna a casa.

Ma il pensiero non passa.

Entra in casa, Turi –il terrier bianco- gli salta addosso dalla gioia. Antonio lo posa in terra, gli prepara la merenda, versa l’acqua nella ciotola e si mette a sedere sul divano riprendendo “Anna Karenina” nel punto dove lo aveva lasciato la sera prima. Lo aveva letto già sei volte, ma sperava sempre che alla fine Anna e Vronsky coronassero il loro sogno d’amore. Quel pomeriggio però scorre le parole che conosceva quasi a memoria, col pensiero fisso a “Disperata” che, non solo non gli ha ancora risposto, ma non è neanche più rientrata su Whatsapp.  

Riprova a chiamarla ma il telefono è sempre spento.

Accende la televisione, c’è la vita in diretta; affrontano il caso di una famiglia distrutta in autostrada dal cambio di corsia di un autotreno. Si gira istintivamente alla sua destra verso la foto della sua Rosa e del piccolo Miki. Si alza mentre Turi lo guarda stupito e prova a seguirlo. Va in cucina, quindi in bagno, poi di nuovo in cucina. Mette l’acqua a scaldare, tira fuori la bustina del tè, riempie di caffè la moka, apre il frigorifero e tira fuori le zucchine. Spegne l’acqua per il tè, che neanche gli andava, accende la fiamma sotto la caffettiera e inizia a grigliare le zucchine. Va in bagno e si decide. Aspetta che esca il caffè, spegne la griglia con le zucchine neanche scaldate, beve il caffè, riempie la ciotola di Turi di croccantini e acqua ed esce.

Corre verso la metro cercando di chiamare in ufficio, senza successo perché il telefono suona sempre libero. Arriva e vede Poretti alla macchinetta del caffè. “Ma dove eri che è un’ora provo a chiamarti”

“Intanto stai molto calmo” risponde Poretti girando il bastoncino per sciogliere lo zucchero “non sono mica come te, io lavoro qui sai”

“Si dà il caso che rispondere al telefono sia la prima cosa che ci chiedono” gli apostrofa superandolo e mettendosi a sedere nella sua postazione.

“Ma che fai ti metti a lavorare?” chiede Poretti sorridendo e sorseggiando il caffè. Antonio accende il suo terminale e inizia a battere nervosamente le dita sulla tastiera in attesa della connessione.

“No ti stai aprendo davvero. Allora Antonio senti un po’” riprende Poretti avvicinandosi verso l’attaccapanni “Visto ci sei te, tanto manca solo un’ora alla fine del mio turno” continua con una mano già inserita nella manica del giubbotto “andrei a casa che almeno studio un po’ coi miei figli”

“Col cazzo” risponde secco Antonio “Sono qui per mie cose personali, quindi non rispondo al telefono, non accolgo clienti, non leggo mail. E poi, smetti di prendermi in giro, i tuoi figli sanno già più cose di te e ringraziami, ti faccio risparmiare di buttare via soldi alla sala scommesse.” Poretti rimane con la manica mezza indossata e la faccia bloccata. Si rimette a sedere senza proferire parola.

Antonio inizia a cercare nell’anagrafico della banca usando il numero di telefono del cellulare. La sua era la seconda banca italiana, le probabilità che, anche di traverso, avesse avuto contatti con l’istituto erano forti.

E infatti: bingo. Il numero di cellulare però era stato caricato sull’anagrafico di Francesco Doretto.

Guarda la movimentazione del conto corrente: riceveva bonifici per notule su lavori di ristrutturazione. E’ un architetto. Si guarda intorno, Poretti è rivolto su se stesso con il viso tra l’imbronciato e l’offeso giocando a campo minato sul pc. Legge l’indirizzo: Cernusco sul Naviglio. Apre Google per capire se fosse l’indirizzo di lavoro o di casa ed entra nel sito dell’Ordine degli Architetti. Architetto Francesco Doretto nato a Milano il 29 maggio 1982, studio di architettura a Milano in Corso Venezia.  Si mette la cuffia e digita  il numero dello studio sulla tastiera.

“Pronto buongiorno sono del Credito Nazionale cercavo l’Architetto Doretto.”

“Guardi l’Architetto in questo momento non è in studio.” Risponde una signorina in tono abbastanza sgarbato.

“Quando lo posso trovare?”

“Ha un appuntamento per le 17 qui in studio, ma scusi per cos’era?” Antonio riattacca. Sette fermate della Metro con un cambio a Loreto. Sono le 4 del pomeriggio.

Aveva un’ora: ce la doveva fare.

(TO BE CONTINUED)

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