Lo
specchio si incurvò verso sinistra e si piegò contemporaneamente verso l’alto,
svelando un nuovo paesaggio possibile.
Fu
così che Elio Consalvi vide Agata per la prima volta.
Dalla
postazione conservativa che aveva negli ultimi tre mesi presidiato in fondo
alla saletta del bar, il giornale sportivo sul lato destro del tavolino e il
quotidiano locale sul sinistro, Elio aveva osservato , nel suo tentativo di
dimenticanza, tutto quello che avveniva davanti alla vetrina. E di tanto in
tanto, quello che, spostando appena il lato sinistro del viso , riusciva, nella
nuova visuale angolare, a percepire dallo specchio per il traffico: persone in arrivo, nuvole cangianti, nuovi
panni stesi al primo piano del numero 7. Un fluire disinteressato di cose e
persone che aveva avuto in quei mesi, il potere benefico di calmarlo, e dissociarlo,
temporaneamente, dal suo stato di sofferenza inevitabile; causato dalla perdita
del lavoro di contabile, su cui aveva investito gli ultimi suoi dodici anni di
vita solitaria.
Più
che l’incidente stesso fu, quel giorno,
un lampo improvviso nelle striature del vetro convesso incrinato, a
distoglierlo dalla passività in cui era precipitato. Il bagliore della catenina
in volo riflessa, ebbe a pensare poi,
oppure addirittura un raggio di sole respinto nel sorriso, dall’apparecchio per
i denti che la bambina portava: qualcosa insomma di veloce ed inaspettato, che
lo aveva fatto guardare più a lungo nello specchio inclinato. Fino a vederla,
le gambe penzoloni attraverso il ferro
battuto del balconcino stile liberty, i capelli biondi arricciati e il pianto
irrefrenabile a rigarle le guance.
Il
tempo di uscire velocemente, tra lo stupore del barista e l’imperturbabilità
della cassiera, e lei già non c’era più,
probabilmente consolata da qualche parte in sicure braccia cullanti.
Ma
la catenina la vide, fragilmente incastrata appena al ramo del castagno che si
ostinava a resistere al traffico montante, quasi adagiata in attesa di un raggio di sole improbabile che
la rivelasse alla persona che l’aveva perduta o in un gesto di rabbia gettata.
Ma
non sentì la necessità di arrampicarsi a prenderla.
Nei
giorni successivi il suo sguardo abbandonò sempre più spesso la vetrina ed il
suo ovattato tran tran di persone e macchine , dirigendosi con frequenza sempre
più alta verso lo specchio inclinato. Di tanto in tanto la vedeva, Agata,
giocare con una bambola senza vestiti, canticchiare una qualche canzone impercettibile o disseminare di pentole e
coperchi il pavimento del terrazzino. E talvolta guardare a lungo nello spazio
sottostante, descrivendo con gli occhi e con le mani traiettorie di probabili
uccellini inventati.
E
gli sembrava , dalla sua non comoda posizione in fondo alla sala, che il volto
della bimba si velasse di un piccolo grigiore,
nel disegnare questi voli di uccelli immaginari, come se Agata si
rendesse conto di non potere anche lei riuscire a spiccare un minimo volo.
Fu
un giorno di pioggia lieve, che mentre la osservava nel suo concentrarsi sulle
traiettorie la vide sorridere e danzare felice sotto la pioggia. E poi
rientrare in casa e riuscire trascinando per mano una donna bionda sulla
trentina apparentemente infastidita, forse solo per il fatto di dover uscire a
bagnarsi per accontentare chissà quale stranezza infantile.
La
donna non parve capire quanto la bambina si premurava, con eccitazione evidente
di farle comprendere, e dopo qualche minuto di partecipazione si risolse a
tornare alle sue precedenti occupazioni abbandonate , lasciando la figlia
delusa, ad affacciarsi al balcone.
Fu
in quel giorno di pioggia lieve che egli comprese i gesti, il lucicchio , le
traiettorie volanti e decise di uscire incurante delle gocce , del traffico
nuovamente pieno: attraversò la strada e si arrampicò sul castagno per recuperare la catenina.
Si
voltò trionfante brandendo l’oggetto dorato verso il balcone; ma lei non c’era
più.
E
nemmeno apparve nei giorni successivi.
Cosicchè
egli tornò al suo quieto stare , nell’angolo del bar, osservando la gente
incurante passare e a stringere in tasca la catenina recuperata.
Poi
un giorno la rivide.
Proprio davanti alla vetrina Agata nuovamente ballava la sua danza di
traiettorie. E sorrideva come mai le aveva visto fare.
Tolse
di tasca la catenina e la mostrò alla bimba, aspettandosi che lei si precipitasse
a prenderla ringraziandolo per averla recuperata.
Lei
invece mise il dito indice perpendicolare davanti alla bocca, sgranò gli occhi,
gli sorrise e si allontanò saltellando.
Il
giorno dopo guardando Agata attraverso lo specchio gli parve di percepire che
lei giocando guardasse spesso nella sua direzione.
E
sorrise, perché ora entrambi sapevano che perlomeno fino a quando non avrebbero
riparato lo specchio, nessuno dei due sarebbe più stato solo.
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