martedì 1 novembre 2016

AGATA E L'INCIDENTE di Andrea Mitri

Il camion dell’immondizia sbandò leggermente, giusto dopo la curva, all’altezza della prima vetrina del Bar Lux, quella con le uova di Pasqua pronte per la vendita dell’ultima ora. Probabilmente una macchia d’olio sulla strada, visto che la velocità non era poi così elevata. Solo che l’autista , al terzo giorno di lavoro, fu preso dal panico e nel tentativo di controsterzare finì con il perdere il controllo del mezzo, che dopo aver rigato la Polo del 2003 di uno dei baristi, andò a sbattere contro il palazzo di fronte, quasi dolcemente; danneggiando così, in fin dei conti oltre alla macchina,  solo lo specchio per il traffico stradale, che permetteva ai condomini di via Salvi di uscire senza rischio nella via principale.

Lo specchio si incurvò verso sinistra e si piegò contemporaneamente verso l’alto, svelando un nuovo paesaggio possibile.

Fu così che Elio Consalvi vide Agata per la prima volta.

Dalla postazione conservativa che aveva negli ultimi tre mesi presidiato in fondo alla saletta del bar, il giornale sportivo sul lato destro del tavolino e il quotidiano locale sul sinistro, Elio aveva osservato , nel suo tentativo di dimenticanza, tutto quello che avveniva davanti alla vetrina. E di tanto in tanto, quello che, spostando appena il lato sinistro del viso , riusciva, nella nuova visuale angolare, a percepire dallo specchio per il traffico:  persone in arrivo, nuvole cangianti, nuovi panni stesi al primo piano del numero 7. Un fluire disinteressato di cose e persone che aveva avuto in quei mesi, il potere benefico di calmarlo, e dissociarlo, temporaneamente, dal suo stato di sofferenza inevitabile; causato dalla perdita del lavoro di contabile, su cui aveva investito gli ultimi suoi dodici anni di vita solitaria.

Più che l’incidente stesso fu,  quel giorno, un lampo improvviso nelle striature del vetro convesso incrinato, a distoglierlo dalla passività in cui era precipitato. Il bagliore della catenina in volo  riflessa, ebbe a pensare poi, oppure addirittura un raggio di sole respinto nel sorriso, dall’apparecchio per i denti che la bambina portava: qualcosa insomma di veloce ed inaspettato, che lo aveva fatto guardare più a lungo nello specchio inclinato. Fino a vederla, le gambe penzoloni attraverso  il ferro battuto del balconcino stile liberty, i capelli biondi arricciati e il pianto irrefrenabile a rigarle le guance.

Il tempo di uscire velocemente, tra lo stupore del barista e l’imperturbabilità della cassiera, e  lei già non c’era più, probabilmente consolata da qualche parte in sicure braccia cullanti.

Ma la catenina la vide, fragilmente incastrata appena al ramo del castagno che si ostinava a resistere al traffico montante, quasi adagiata  in attesa di un raggio di sole improbabile che la rivelasse alla persona che l’aveva perduta o in un gesto di rabbia gettata.

Ma non sentì la necessità di arrampicarsi a prenderla.

Nei giorni successivi il suo sguardo abbandonò sempre più spesso la vetrina ed il suo ovattato tran tran di persone e macchine , dirigendosi con frequenza sempre più alta verso lo specchio inclinato. Di tanto in tanto la vedeva, Agata, giocare con una bambola senza vestiti, canticchiare una qualche canzone  impercettibile o disseminare di pentole e coperchi il pavimento del terrazzino. E talvolta guardare a lungo nello spazio sottostante, descrivendo con gli occhi e con le mani traiettorie di probabili uccellini inventati.

E gli sembrava , dalla sua non comoda posizione in fondo alla sala, che il volto della bimba si velasse di un piccolo grigiore,  nel disegnare questi voli di uccelli immaginari, come se Agata si rendesse conto di non potere anche lei riuscire a spiccare un minimo volo.

Fu un giorno di pioggia lieve, che mentre la osservava nel suo concentrarsi sulle traiettorie la vide sorridere e danzare felice sotto la pioggia. E poi rientrare in casa e riuscire trascinando per mano una donna bionda sulla trentina apparentemente infastidita, forse solo per il fatto di dover uscire a bagnarsi per accontentare chissà quale stranezza infantile.

La donna non parve capire quanto la bambina si premurava, con eccitazione evidente di farle comprendere, e dopo qualche minuto di partecipazione si risolse a tornare alle sue precedenti occupazioni abbandonate , lasciando la figlia delusa, ad affacciarsi al balcone.

Fu in quel giorno di pioggia lieve che egli comprese i gesti, il lucicchio , le traiettorie volanti e decise di uscire incurante delle gocce , del traffico nuovamente pieno: attraversò la strada e si arrampicò  sul castagno per recuperare la catenina.

Si voltò trionfante brandendo l’oggetto dorato verso il balcone; ma lei non c’era più.

E nemmeno apparve nei giorni successivi.

Cosicchè egli tornò al suo quieto stare , nell’angolo del bar, osservando la gente incurante passare e a stringere in tasca la catenina recuperata.

Poi un giorno la rivide.

Proprio davanti alla vetrina Agata  nuovamente ballava la sua danza di traiettorie. E sorrideva come mai le aveva visto fare.

Tolse di tasca la catenina e la mostrò alla bimba, aspettandosi che lei si precipitasse a prenderla ringraziandolo per averla recuperata.

Lei invece mise il dito indice perpendicolare davanti alla bocca, sgranò gli occhi, gli sorrise e si allontanò saltellando.

Il giorno dopo guardando Agata attraverso lo specchio gli parve di percepire che lei giocando guardasse spesso nella sua direzione.

E sorrise, perché ora entrambi sapevano che perlomeno fino a quando non avrebbero riparato lo specchio, nessuno dei due sarebbe più stato solo.

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