lunedì 1 agosto 2016

MARINA E GIOVANNI di Verdiana Raw


Marina e Giovanni vivono al secondo piano di Via Ameli, in periferia. Ogni tanto li incrocio al bar sotto casa. Si tengono sempre per mano e con gli anni li ho visti diventare ogni poco più simili, la fisiognomica piegata alla routine sentimentalpopolare, forse si sono semplicemente confusi alla vista della mia mente - stanca di riconoscerli, ogni mese più vulnerabili, ogni mese gli stessi trucchi per farsi raccontare dal mondo la loro indivisibile armonia corrotta.

Quando stamane il gatto di Marina ha cominciato a miagolare, presto presto, alle cinque credo, è entrato di soppiatto nello strascico finale del mio sogno di fuoco. Cavalli in corsa e poi, un cielo terso, e poi, Juju, che strisciava penoso alla fine dei suoi anni terrestri in cerca di una carezza che non potevo dargli. Troppa bellezza esplodeva dietro le nubi bianche come solo le nuvole d'estate possono essere. Così il pensiero ha scelto di distruggere il mio Atlantide di onirica presenza e volontà; uno squarcio rosso elettrico e d'improvviso una furia di tempesta, un tornado, i cavalli imbizzarriti selvatici e  neri e smarriti hanno lanciato il galoppo nella direzione opposta alla mia. Solo polvere, poi la minaccia di una catastrofe incombente su ogni traccia di vita familiare dal mio mondo parallelo.

Il mio corpo in preda al vento, sempre più su, il lamento di Juju quasi una promessa dietro le mie orecchie, al limite con la mia capacità di distrazione.

Unione, ambivalenza.

Sono rimasta per poco sopra il frigo, galleggiando a pancia in sotto e tentando di aggrapparmi alle travicelle del soffitto in modo scoordinato e aggraziato, come quando in piscina mi sforzo di dare un senso al verbo nuotare del mio vocabolario e mi manca solo la cuffietta coi fiori per fare Judy Garland, come dice Alessandra.

Un fischio, un caldo, un freddo, io sulla sedia davanti al caffè.

'Non voltarti'.

Ho sentito la voce di Giovanni.

Sapevo che a parlare era Marina.

'Non voltarti'.

Stavolta la voce di Marina.

Ma era ancora lei.

'Quando potrai sostenere la sentenza di un amore consumato potrai tornare a correre con i cavalli.'

Va bene, ho bevuto il caffè. Ho messo su De Andrè. Ho messo su l'acqua per qualcosa, non so cosa. Ho rimesso De Andrè da capo.

'...e andrai a vivere con Alice che si fa il whisky distillando fiori…'

Tutta questa giornata sa di un colore giallo inzuppato nel blu; non ho avuto tempo per sbirciarli dalla terrazza, ma è come se mi avessero seguito in ogni stanza, appresso a tutte le mie stesse faccende così piccole e importanti, come impedire alla fila diligente di formiche di svaligiarmi la dispensa di sanissime cazzate.

Ogni sospiro, ogni amore sperperato, ogni promessa ridanciana, ogni pietruzza lanciata nello stagno per ricevere in cambio una vena d'affetto incontaminato,ognuna di queste cose si fonde nella macchina dei miei ricordi. Tutte le vite che ho macinato e scavalcato per potermi dire: sono. Cadaveri arrotolati nei tappeti di passioni tendenti al nulla, un enorme specchio delle mie, sue, nostre brame.

Marina e Giovanni non parlano nemmeno oggi che non sono neanche uscita di casa per poter ottenere un piccolo salvatico cedimento alla menzogna, al volto banale e umano della gelosia.

Forse non esistono, e io qui che ci sto a fare?

Ora che è sera ho aperto le persiane per fare entrare il fresco.

L'ultima domanda prima di far finta di dormire è: come le è venuta ad Alice di fare il whisky distillando fiori? Non c'ha proprio niente da fa', anche lei.

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