Marina e Giovanni vivono al secondo piano di Via Ameli,
in periferia. Ogni tanto li incrocio al bar sotto casa. Si tengono sempre per
mano e con gli anni li ho visti diventare ogni poco più simili, la fisiognomica
piegata alla routine sentimentalpopolare, forse si sono semplicemente confusi
alla vista della mia mente - stanca di riconoscerli, ogni mese più vulnerabili,
ogni mese gli stessi trucchi per farsi raccontare dal mondo la loro
indivisibile armonia corrotta.
Quando stamane il gatto di Marina ha cominciato a
miagolare, presto presto, alle cinque credo, è entrato di soppiatto nello
strascico finale del mio sogno di fuoco. Cavalli in corsa e poi, un cielo
terso, e poi, Juju, che strisciava penoso alla fine dei suoi anni terrestri in
cerca di una carezza che non potevo dargli. Troppa bellezza esplodeva dietro le
nubi bianche come solo le nuvole d'estate possono essere. Così il pensiero ha
scelto di distruggere il mio Atlantide di onirica presenza e volontà; uno
squarcio rosso elettrico e d'improvviso una furia di tempesta, un tornado, i
cavalli imbizzarriti selvatici e neri e
smarriti hanno lanciato il galoppo nella direzione opposta alla mia. Solo
polvere, poi la minaccia di una catastrofe incombente su ogni traccia di vita
familiare dal mio mondo parallelo.
Il mio corpo in preda al vento, sempre più su, il
lamento di Juju quasi una promessa dietro le mie orecchie, al limite con la mia
capacità di distrazione.
Unione, ambivalenza.
Sono rimasta per poco sopra il frigo, galleggiando a
pancia in sotto e tentando di aggrapparmi alle travicelle del soffitto in modo
scoordinato e aggraziato, come quando in piscina mi sforzo di dare un senso al
verbo nuotare del mio vocabolario e mi manca solo la cuffietta coi fiori per
fare Judy Garland, come dice Alessandra.
Un fischio, un caldo, un freddo, io sulla sedia davanti
al caffè.
'Non voltarti'.
Ho sentito la voce di Giovanni.
Sapevo che a parlare era Marina.
'Non voltarti'.
Stavolta la voce di Marina.
Ma era ancora lei.
'Quando potrai sostenere la sentenza di un amore
consumato potrai tornare a correre con i cavalli.'
Va bene, ho bevuto il caffè. Ho messo su De Andrè. Ho
messo su l'acqua per qualcosa, non so cosa. Ho rimesso De Andrè da capo.
'...e andrai a vivere con Alice che si fa il whisky
distillando fiori…'
Tutta questa giornata sa di un colore giallo inzuppato
nel blu; non ho avuto tempo per sbirciarli dalla terrazza, ma è come se mi
avessero seguito in ogni stanza, appresso a tutte le mie stesse faccende così
piccole e importanti, come impedire alla fila diligente di formiche di
svaligiarmi la dispensa di sanissime cazzate.
Ogni sospiro, ogni amore sperperato, ogni promessa
ridanciana, ogni pietruzza lanciata nello stagno per ricevere in cambio una
vena d'affetto incontaminato,ognuna di queste cose si fonde nella macchina dei
miei ricordi. Tutte le vite che ho macinato e scavalcato per potermi dire:
sono. Cadaveri arrotolati nei tappeti di passioni tendenti al nulla, un enorme
specchio delle mie, sue, nostre brame.
Marina e Giovanni non parlano nemmeno oggi che non
sono neanche uscita di casa per poter ottenere un piccolo salvatico cedimento
alla menzogna, al volto banale e umano della gelosia.
Forse non esistono, e io qui che ci sto a fare?
Ora che è sera ho aperto le persiane per fare entrare
il fresco.
L'ultima domanda prima di far finta di dormire è: come
le è venuta ad Alice di fare il whisky distillando fiori? Non c'ha proprio
niente da fa', anche lei.
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