"Mi
scusi con chi parlo?" Avete presente la voce che hanno le stronze? Ecco
avevo quella voce.
"Sono
Judith. E lei è?"
Il
fracasso dell'autobus si fa insopportabile, vaneggio qualcosa, lei risponde
gentile qualcos'altro, nessuna delle due sente niente. Il tizio ben messo sulla
cinquantina mi acchiappa mentre la frenata ci fa precipitare contro la portiera
davanti. Il cellulare cade, si apre in tre pezzi. Mi chino, mentre uno studente
cerca di travolgermi e una vecchia carampana spinge per uscire, come se potessi
diventare di maionese e farla passare. Con la calma del giusto recupero due
pezzi del mio vetusto telefonino, manca la pila. Che è in mano del tizio ben
messo. "Grazie" (la voce a stronza è sempre quella). Scendo, anche se
mancano quattro fermate. Ah, le comode panchine in pietra di una volta. Rimetto
insieme il cimelio telefonico, il tempo di vedere il display illuminarsi
d'immenso e la fatidica scritta "incoming call" comincia a
lampeggiare. "Ehi". E' Jackie, dall'ufficio. Niente amante. Racconto
la faccenda di questa Judith, ma dopo sei secondi ha già smesso di ascoltarmi.
Va
bene, va bene. Riattacco. Compongo di nuovo il numero di casa.
Squilla,
squilla: niente.
Mi
dimentico della faccenda per quattro anni, tanti ne sono passati da allora. Nel
frattempo, Jackie eredita dai suoi genitori un appartamento grande tre volte il
nostro, davanti a Roath Park. Abbiamo messo un annuncio per vendere la nostra
vecchia casa, abbiamo appuntamento alle 4 con l'agente immobiliare coi dentoni.
Suonano
alla porta. Apro, sforzandomi di sorridere.
"Ciao"
mi fa quello coi dentoni "ti presento la cliente che è interessata alla
vostra casa. Accanto a lei una tizia, sembra gentile.
La
voce, sprofondassi nell'inferno del Galles, è quella: "Sono Judith. E lei
è?"
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