Ore 6.26, la sveglia suona.
Antonio si alza dal letto, infila prima la
pantofola destra quindi la sinistra e va in bagno. Preme il tubetto del
dentifricio per fare uscire una riga che si appoggi senza sbavature sullo
spazzolino. Si lava, torna in camera e apre l’armadio. Col dito cerca tra i
cassetti la scritta giovedì e tira fuori le mutande la canottiera e i calzini.
Sopra il cassetto, dall’appendiabiti afferra la divisa da ferroviere. Si veste,
prende il borsello, conta quanti soldi ha nel portafoglio e ride pensando che
la mamma tutte le mattine gli chiedeva “ma che pensi che la notte raddoppino?”
Esce di casa.
In 7 minuti è alla fermata dell’autobus.
Dovrebbe arrivare dopo circa 6 minuti.
Passati, Antonio inizia a guardare
nervosamente l’orologio. Finalmente vede sullo sfondo i grossi fari e indica
sull'orologio i 3 minuti di ritardo. Sale, fa vedere l’abbonamento mensile
all’autista che è impegnato a rispondere a un messaggio sul suo cellulare, si
guarda intorno e si mette a sedere dietro alla macchinetta obliteratrice. Il
suo.
Arriva alla stazione. Il bus ha accumulato
ben 13 minuti di ritardo, per cui corre al bar. Dovrà fare colazione in 7
minuti anziché 20 come suo solito. Il barista lo vede e prepara sul bancone la
brioche alla marmellata di albicocca e il latte macchiato. “Dormito troppo
oggi? “
“No no” balbetta Antonio. “Ha fatto tardi
l’autobus”.
Da quando la mamma non c’è più, la colazione
è costretta a farla fuori. Ma i cornetti non hanno lo stesso sapore del panino
caldo di forno.
Esce e tutto trafelato si va a sedere al suo
posto all’ufficio informazioni. Chiude gli occhi, ripassa a mente gli orari:
può aprire.
Ad Antonio piace quel lavoro perché vede e
parla con un sacco di persone. E alla fine tutti lo ringraziano. Qualche volta
c’è anche chi gli porta un caffè o una brioche come premio per la cortesia, ma
lui – come gli hanno insegnato da bambino- non accetta mai, indicando la
stretta fessura del plexiglas come scusa.
“Mi scusi, il primo treno per Milano? “
“Centrale ? Porta Garibaldi? Rogoredo?…”
“Centrale … Centrale” lo ferma spazientito il cliente con un lembo della
camicia bianca, tutta grinzosa e tirata sull'enorme pancia, fuori dai
pantaloni.
“ore 8:21. Frecciargento 9402 e ferma a…”
“Non mi interessa, grazie” e corre via verso la biglietteria travolgendo tre
giapponesi immersi in una cartina.
Davanti alla sua postazione scorre la coda
nervosa dei passeggeri bisognosi di informazioni su orari, prezzi e fermate.
Al di là della coda, Antonio vede una
comitiva di bambini, con le camicie azzurre e il foulard giallo e nero al collo
degli scout che, mano nella mano, formano un girotondo al cui interno due
bambini girano in senso opposto indicando i compagni. A destra, due zingare che
si nascondono fra la gente, mentre dietro di loro due poliziotti li seguono con
lo sguardo sorridendo.
“Excuse me, to Venezia Santa Lucia?” Antonio
guarda davanti a sé e vede il busto di un uomo alto 1,90 e largo altrettanto,
con una t-shirt bianca su cui campeggia la scritta Hard Rock Cafè che nasconde
un paio di pantaloncini verde bottiglia. Antonio prende il blocchetto, la penna
e scrive “h 10.15, Frecciargento 9408 stops at Bologna Centrale, Padova Venezia
Mestre”. La massa di carne abbassa il minuscolo viso verso la fessura sul
plexiglas e dice in uno stentato italiano “Grazie mister, tu buono. Ciao”
Antonio sorride e vede avvicinarsi una
signora anziana che spinge una ragazza su una sedia a rotelle.
In quel momento sente uno scoppio.
Si abbassa sotto il bancone. Gli scoppi sono
dieci, cento mille. Sente urlare, piangere e maggiore è il rumore e più si
nasconde dietro la sedia.
Poi il silenzio.
Aspetta. Si rialza.
Vede la gente al di là del vetro, sdraiata in
terra.
Vede 10 poliziotti che corrono e 4 soldati
con i fucili alzati.
Vede sul pavimento tanto liquido rosso.
Esce dal suo ufficio. Dopo il primo passo
inciampa su una ruota della sedia a rotelle. Si abbassa tocca la sostanza rossa
appiccicosa che ricopre il suolo e gli torna in mente quando a 5 anni mentre
giocava in un vagone con la madre, il treno guidato dal padre uscì dai binari.
Venne trascinato fuori, ma si divincolò dalla presa del volontario e corse
verso la cabina dei macchinisti.
Vide lo stesso liquido rosso appiccicoso. Si
sporse dentro al finestrino e vide il padre con la stessa espressione degli
scout immobili in terra. Fu allora che la madre lo raggiunse, lo tirò via e lo
portò in mezzo al campo su cui il treno si era appoggiato su un lato e gli
disse "Antò, non ti girare verso il treno, guarda i campi e inizia a
contare”
“Cosa mamma?”
“Conta. Le spighe, i fiori, le api, gli
alberi e metti le mano sulle orecchie se no poi ti dimentichi a che numero sei
arrivato”
Antonio ricomincia a sentire i lamenti della
gente in terra, si gira verso il vetro dietro al quale lavora, si mette le mani
sopra le orecchie e inizia a contare.
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