lunedì 1 agosto 2016

IL BAMBINO CHE IMPARO' A CONTARE di Fabio Langellotti


Ore 6.26, la sveglia suona.

Antonio si alza dal letto, infila prima la pantofola destra quindi la sinistra e va in bagno. Preme il tubetto del dentifricio per fare uscire una riga che si appoggi senza sbavature sullo spazzolino. Si lava, torna in camera e apre l’armadio. Col dito cerca tra i cassetti la scritta giovedì e tira fuori le mutande la canottiera e i calzini. Sopra il cassetto, dall’appendiabiti afferra la divisa da ferroviere. Si veste, prende il borsello, conta quanti soldi ha nel portafoglio e ride pensando che la mamma tutte le mattine gli chiedeva “ma che pensi che la notte raddoppino?”

Esce di casa.

In 7 minuti è alla fermata dell’autobus. Dovrebbe arrivare dopo circa 6 minuti.

Passati, Antonio inizia a guardare nervosamente l’orologio. Finalmente vede sullo sfondo i grossi fari e indica sull'orologio i 3 minuti di ritardo. Sale, fa vedere l’abbonamento mensile all’autista che è impegnato a rispondere a un messaggio sul suo cellulare, si guarda intorno e si mette a sedere dietro alla macchinetta obliteratrice. Il suo.

Arriva alla stazione. Il bus ha accumulato ben 13 minuti di ritardo, per cui corre al bar. Dovrà fare colazione in 7 minuti anziché 20 come suo solito. Il barista lo vede e prepara sul bancone la brioche alla marmellata di albicocca e il latte macchiato. “Dormito troppo oggi? “

“No no” balbetta Antonio. “Ha fatto tardi l’autobus”.

Da quando la mamma non c’è più, la colazione è costretta a farla fuori. Ma i cornetti non hanno lo stesso sapore del panino caldo di forno.

Esce e tutto trafelato si va a sedere al suo posto all’ufficio informazioni. Chiude gli occhi, ripassa a mente gli orari: può aprire.

Ad Antonio piace quel lavoro perché vede e parla con un sacco di persone. E alla fine tutti lo ringraziano. Qualche volta c’è anche chi gli porta un caffè o una brioche come premio per la cortesia, ma lui – come gli hanno insegnato da bambino- non accetta mai, indicando la stretta fessura del plexiglas come scusa.

“Mi scusi, il primo treno per Milano? “

“Centrale ? Porta Garibaldi? Rogoredo?…” “Centrale … Centrale” lo ferma spazientito il cliente con un lembo della camicia bianca, tutta grinzosa e tirata sull'enorme pancia, fuori dai pantaloni.

“ore 8:21. Frecciargento 9402 e ferma a…” “Non mi interessa, grazie” e corre via verso la biglietteria travolgendo tre giapponesi immersi in una cartina.

Davanti alla sua postazione scorre la coda nervosa dei passeggeri bisognosi di informazioni su orari, prezzi e fermate.

Al di là della coda, Antonio vede una comitiva di bambini, con le camicie azzurre e il foulard giallo e nero al collo degli scout che, mano nella mano, formano un girotondo al cui interno due bambini girano in senso opposto indicando i compagni. A destra, due zingare che si nascondono fra la gente, mentre dietro di loro due poliziotti li seguono con lo sguardo sorridendo.

“Excuse me, to Venezia Santa Lucia?” Antonio guarda davanti a sé e vede il busto di un uomo alto 1,90 e largo altrettanto, con una t-shirt bianca su cui campeggia la scritta Hard Rock Cafè che nasconde un paio di pantaloncini verde bottiglia. Antonio prende il blocchetto, la penna e scrive “h 10.15, Frecciargento 9408 stops at Bologna Centrale, Padova Venezia Mestre”. La massa di carne abbassa il minuscolo viso verso la fessura sul plexiglas e dice in uno stentato italiano “Grazie mister, tu buono. Ciao”

Antonio sorride e vede avvicinarsi una signora anziana che spinge una ragazza su una sedia a rotelle.

In quel momento sente uno scoppio.

Si abbassa sotto il bancone. Gli scoppi sono dieci, cento mille. Sente urlare, piangere e maggiore è il rumore e più si nasconde dietro la sedia.

Poi il silenzio.

Aspetta. Si rialza.

Vede la gente al di là del vetro, sdraiata in terra.

Vede 10 poliziotti che corrono e 4 soldati con i fucili alzati.

Vede sul pavimento tanto liquido rosso.

Esce dal suo ufficio. Dopo il primo passo inciampa su una ruota della sedia a rotelle. Si abbassa tocca la sostanza rossa appiccicosa che ricopre il suolo e gli torna in mente quando a 5 anni mentre giocava in un vagone con la madre, il treno guidato dal padre uscì dai binari. Venne trascinato fuori, ma si divincolò dalla presa del volontario e corse verso la cabina dei macchinisti.

Vide lo stesso liquido rosso appiccicoso. Si sporse dentro al finestrino e vide il padre con la stessa espressione degli scout immobili in terra. Fu allora che la madre lo raggiunse, lo tirò via e lo portò in mezzo al campo su cui il treno si era appoggiato su un lato e gli disse "Antò, non ti girare verso il treno, guarda i campi e inizia a contare”

“Cosa mamma?”

“Conta. Le spighe, i fiori, le api, gli alberi e metti le mano sulle orecchie se no poi ti dimentichi a che numero sei arrivato”

Antonio ricomincia a sentire i lamenti della gente in terra, si gira verso il vetro dietro al quale lavora, si mette le mani sopra le orecchie e inizia a contare.


 

Nessun commento:

Posta un commento