Fu lui, a chiamare
pausa, verso la fine della quarta scena del secondo atto, quando Alfredo Rugani
si inceppò per la terza volta, in un apparente vuoto di memoria che andava a
confliggere con la sua proverbiale capacità di non sbagliare una battuta.
Fu in quell’istante
preciso, che l’attore italiano potè con certezza affermare a sé stesso, quello
che negli ultimi minuti gli era sembrato di percepire: il suo amico immaginario
era sparito.
Non che non ne avesse
mai paventato la possibilità.
Spesso litigavano e si
allontanavano l’uno dall’altro, anche per lungo periodo, ritrovandosi poi con
rinnovata amicizia. A volte spariva durante le cene dopo il debutto, o nel bel
mezzo di un’intervista. Non c’era stato ad esempio il 22 marzo del 1999, quando
Alfredo ritirò il premio come miglior attore dell’anno per il suo meraviglioso
personaggio di Mercuzio, e neppure quella volta che in tv si era abbassato a
fare da ospite in una trasmissione del pomeriggio, su insistenza quasi maniacale
del proprio agente, che voleva dargli una qualche visibilità fuori dal
palcoscenico.
Ma mai Mark era mancato
ad una prova, ad uno spettacolo o anche ad un semplice reading.
Non era mai successo, e
per fortuna. Perchè senza la presenza del suo amico immaginario, Alfredo Rugani
era un attore mediocre, incline allo stereotipo e peraltro posseduto da una
sconcertante inclinazione al birignao, che lo avrebbe tolto in meno di 12
minuti da qualsiasi palcoscenico importante.
Perché era Mark ad
entrare in azione quando il personaggio necessitava delle emozioni necessarie,
lui che si accollava il pianto sconsolato, la rabbia incontenibile, l’invidia
più subdola; ma anche il riso più irrefrenabile, l’allegria coinvolgente e la
generosità estrema.
Non appena il testo o
la situazione richiedevano una profondità più accentuata, era Mark che vi si
infilava, incurante delle conseguenze derivabili per la propria persona. Anche
le meravigliose scene di seduzione nel film “Matera 1990, una storia italiana”
appartenevano a lui, dal momento che mai e poi mai Alfredo sarebbe riuscito ad
innamorarsi di Pamela Feuerback, in quel modo così assoluto, al limite della
follia, che la sceneggiatura richiedeva.
L’amico immaginario non
era apparso in tenera età come a molti succede.
La prima volta della
loro amicizia fu durante un corso di perfezionamento all’ Actor’s Studio di New
York che il venticinquenne attore era riuscito a pagarsi offrendo corpo e volto
alla pubblicità della Fiat Duna, mezzo di cui non erano poi andati fieri né lui
né la Fiat.
Nel mezzo di un
ricordo, che avrebbe dovuto risultare doloroso per lui e per l’anziana attrice
americana che teneva il corso, Mark apparve,
piangendo di un pianto così singultante, che ad Alfredo gli ci vollero
10 minuti per calmarsi ed apprezzare appieno il commosso applauso che la classe
gli aveva restituito al termine dell’improvvisazione.
Da allora sul palco
erano stati sempre insieme; fino a questo fatidico 11 luglio 2013.
Che questa volta
qualcosa potesse non andare per il verso giusto però, Alfredo avrebbe dovuto
cominciare a sospettarlo già nel momento in cui gli avevano detto che il suo
albergo era al numero 13 di Via Slataper; oppure quando la produzione stabilì
che le prime repliche si sarebbero svolte dal 13 al 17 luglio. Superstizioso
com’era, avrebbe dovuto ribellarsi, pretendere cambiamenti, premunirsi. E
invece se n’era rimasto tranquillo, concentrandosi sul suo lavoro e godendosi
il fatto di poter girovagare per più di un mese, negli angoli rimessi di questa
città sveviana.
Il giorno della prova
generale, Alfredo non si inceppò, ma mai raggiunse, nemmeno per un attimo, la
credibilità, nel suo rappresentare quell’uomo disperato e tradito che il suo
personaggio diveniva all’interno del dramma polacco che andava recitando.
Gunther Dietmar lo
rincuorò, con la solita considerazione che quando una prova generale andava
male, la prima sarebbe stato un successo.
Ma Alfredo dubitava che
ciò sarebbe accaduto: era consapevole che se non fosse riapparso Mark, il
debutto sarebbe stato un disastro, le repliche pure e la tournè una lenta
inesorabile agonia. Stupidamente gli scrisse una lettera che non avrebbe mai
potuto spedire, lo attese fino alle sei del mattino nella sua solitudine
alberghiera e lo implorò di preghiere mai pronunciate prima.
Ma quando poi la sera
del 13 il sipario si aprì, il suo amico immaginario non c’era.
Eppure, fu un successo
comunque. La gente si commosse e pianse, di fronte alla sofferenza di
quell’uomo che vagava per il palco, abbandonato per sempre dalla moglie che
credendolo morto non aveva atteso più il suo ritorno e si era ricostruita una
vita, da cui ora non voleva più staccarsi. E rise, di quella imbranataggine
sottile che l’uomo aveva nell’affrontare oggetti che per vent’anni non aveva
mai maneggiato.
Gli applausi finali
durarono dodici minuti e quaranta secondi.
Fu al settimo minuto di
questi, che Alfredo lo vide, alzarsi dal suo posto in decima fila , sorridergli
a lungo e salutarlo , semplicemente accennando un piccolo gesto con la mano
all’altezza della fronte.
E fu sempre allora che
le lacrime gli uscirono calde e copiose lungo il viso, vere come mai gli
era capitato in tutti questi anni.
Alzò la mano anche lui
e rispose al saluto, tenendo poi lo sguardo fisso su Mark che si allontanava.
Teneramente abbracciato
a Pamela Feuerback.
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