domenica 1 maggio 2016

NON VERRO' di Andrea Mitri

Caro Marco

Non verrò questo pomeriggio, sabato 27 marzo 2016 alle ore 18, all’ inaugurazione della tua mostra “Solitudine e riverbero” , presso la Galleria Mandelli in Via dei Giubbonari 14 a Roma. Non prenderò ancora una volta la macchina  per venire all’ennesimo vernissage fatto di gente vestita accuratamente disordinato, aromatizzata dall’ultima essenza giapponese e impegnata a rimestare nel bicchiere l’ultimo vino di tendenza.  Non credo proprio che affronterò il traffico romano nell’ora di punta con la mia Fiat Panda , per impazzire poi  a cercare parcheggio nei pressi di quella cazzo di Galleria Mandelli, che, come tutte le gallerie di tendenza, si trova in un posto dove si può arrivare solo in taxi. Non verrò a condividere i saluti di circostanza, né a mescolarmi alle belle frasi a metà tra la citazione e la rielaborazione, esibite in giusta misura a riempire il vuoto temporale che ci separa dal buffet, dall’apericena, dal sushi bar. Così facendo oltretutto, potrò non concedermi alle valutazioni complessive disseminate tra un crocchio e l’altro, e al loro quantificare i valori presenti: un vestito di Prada, un Panerai Luminor, un corpo modellato Klab , una  tua foto del 2009. Non mi unirò al coro di incensamenti che mortifica l’unicità,  giudicando “straordinario” qualsiasi accadimento gli si pari davanti agli occhi, “toccante” qualsiasi cosa  richieda una minima attenzione, “geniale” qualsiasi idea esuli il già visto.   Non verrò. E non a causa del “mio inutile ricercato tentativo di non appartenere a questo mondo”, come spesso ti ho sentito pontificare, al susseguirsi del mio disagio nello stare nei luoghi deputati all’arte contemporanea. E nemmeno per ripicca , o stupida presa di posizione, contro il fatto che per tutta la settimana non mi hai risposto al telefono; né perché non ti sei fatto più vivo dalle 13.40 di quello stupido lunedì scorso, quando mi hai lasciata da sola al ristorante, con il conto pagato, in un gesto finale di signorilità presunta che non ti avevo richiesto.

Non verrò, e non  perché, come credo tu abbia capito, non ti considero  il grande artista che pensi di essere, quello che gli altri si sono velocemente convinti che tu sia. Non credo infatti che il rinchiudersi in una grotta per un mese e poi farsi un selfie all’uscita, abbacinato dal sole, si possa definire arte. Si è vero, il critico del New Yorker , ha definito la cosa “ paleolitismo tecnologico, ovvero il punto di unione tra quello che eravamo e quello che siamo” e Vittorio Sgarbi ha trovato il tuo lavoro “degno della ricerca della giusta luce che era già stata prerogativa caravaggesca” . Ed è pure vero che il Guggenheim ti ha comperato i tre selfie di uscita da quella grotta sul carso triestino, di cui  hanno apprezzato sullo sfondo  il “toccante statico svolazzare delle foglie mosse da una bora partecipe” . E non posso  di sicuro negare, che  una ricca collezionista giapponese abbia speso una cifra impensabile, per ricreare l’habitat di quella stessa grotta all’interno della sua villa a Kyoto, e permettersi di farti stare un mese da lei,  in cambio della possibilità di selfarsi insieme a te all’uscita.

Scusami,  ma anche se ti apprezzo molto,  io continuo a credere che tutto ciò non possa automaticamente qualificarti come artista indispensabile all’umanità. Anche se la foto con l’autoscatto che abbiamo  fatto insieme nel 2003 , all’ uscita del Piccolo Teatro di Milano, quaranta minuti prima dello scandire dei miei ventuno anni, rimarrà per sempre l’opera d’arte più bella appesa alla mia parete.

Ti mando questo mazzo di fiori e questa lettera,  per dirti che molto più semplicemente non verrò perché oggi, finalmente, è una meravigliosa giornata di sole di primavera.
 
Con affetto

Lisa

 

 

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