domenica 1 maggio 2016

DIETRO di Sabrina Carollo


 

“Sono solo sciocchezze”

“Come dici?”

“Niente, niente, sono solo sciocchezze”

“Non ti sento, alza la voce. Dio come non ti sopporto quando borbotti a questo modo”

“HO DETTO CHE SONO SOLO SCIOCCHEZZE”

“Non devi mica urlare però eh!”

 La voce è roca, provata da cinquant’anni di fumo della peggior specie - più  che altro mozziconi -, da notti trascorse all’aperto, sui cartoni, in vicoli maleodoranti senza riparo sufficiente.

Una voce da blues, se sapesse cantare.

Una voce da narratore, se avesse voglia di parlare.

Sta scavando in un cassonetto, il solito, il preferito, dietro alla trattoria dalle tovaglie a quadretti rossi. Le tendine alla vetrina sulla strada principale, per dare l’immagine di casa, di famiglia, di autenticità. La porta sul retro, quella della cucina, è socchiusa: i cuochi sono già al lavoro. Cominciano presto. Prima arriva il comandante in capo. Riordina la spesa, organizza il frigorifero, prepara il menù. Poi alla spicciolata, ma non troppo, arriva il resto della truppa. Biascicano un saluto, si infilano il grembiule a righe bianche e gialle, sanno già dove dirigersi. I movimenti sono sempre gli stessi da anni. Il percorso, i compiti, la precisione. L’abilità, la pratica, l’esperienza. Ultime arrivano le cameriere, quasi tutte donne tranne Manuel. L’atmosfera è serena e attiva, ognuno indaffarato a suo modo.

La porta si apre completamente, arrivano i primi scarti. Foglie esterne, radici, bucce, croste. Quello è il momento di Oscar. Un colpo di tosse catarrosa, aspettando che abbiano finito di lasciare i resti inutili, poi si avvicina. Sposta con le mani sudice, annusa, sceglie. Porta alla bocca, mastica lentamente, sputa. Passa al suo compare, che sgomita un pochino ma non arriva bene al sacco. Non ha tanta forza per farsi spazio e non litiga con Oscar. Lo ha fatto, una volta, una delle prime in cui si erano incontrati. Ma Oscar lo ha zittito, gli ha tirato una manata che pareva di aver sbattuto contro un muro. Lui non vuole grane, non è robusto. È un vecchio avvizzito in abiti di fortuna, troppo grandi e fuorimoda. Ha imparato; aspetta e si accontenta. È tutta la vita; aspetta e si accontenta.

Sulla strada principale arrivano i primi clienti. Lo scampanellìo della porta avvisa i camerieri che lentamente smettono il confronto sul programma di ieri e si avviano, uno al tavolo, gli altri a finire di preparare. Non è bene farsi trovare in gruppo a chiacchierare.

Le cortesie, il menù, i consigli.

L’acqua frizzante, un nuovo scampanellìo, le posate disposte correttamente.

Il pane fresco, sbocconcellato facendo due parole, la giacca appesa, il telefono con il vibracall.

Oscar aspetta le uova. I gusci, ovvio. Sa che le proteine che lecca sono importanti. Ha studiato, almeno un po’. Sa come comportarsi, sa come sopravvivere. I gusci sono tanti, qui. Se li dividono, dopotutto lui è una persona corretta. Ora però è tempo di spostarsi. La porta sta per spalancarsi di nuovo. Oscar riconosce i profumi, che emergono con il vapore dalla fessura della soglia accostata. Non devono farsi trovare lì. Non troppo vicini, è un tacito accordo.

“Vieni su, andiamo”

“Aspetta un attimo”

“Ho detto andiamo. Poi si torna”

La porta sul retro si apre, le braccia robuste con le maniche rimboccate portano un nuovo secchio di scarti. Il cuoco si gira verso di loro. È giovane, a stento trent’anni. Le guance sono arrossate dal calore delle pentole, i riccioli scappano fuori dal cappello a bustina. Depone un mezzo sorriso, rientra.

Oscar si riavvicina piano. Sembra un orango in avanscoperta. Le trovano subito: frattaglie cucinate. Oscar l’aveva intuito dallo sguardo. Se le dividono in silenzio, con voracità. Oscar se ne mangia di più; in fondo è più grosso, e la trattoria l’ha individuata lui.

Si pulisce le guance con la manica. La barba rimane un po’ unta.

“Il gomito, mi fa male questo gomito. L’ho battuto ieri, mi fa ancora male”

“Sciocchezze, solo sciocchezze”.

Oscar si incammina fuori dal vicolo. L’altro lo segue ubbidiente e curvo come una foglia d’autunno. Per fortuna invece è primavera, e il peggio è passato. Sul marciapiede davanti, inquadrato da mattonelle di porfido rosso, un albero dai fiori rosa macchia di vita il grigio sporco del muro.

Il cielo è chiaro, la trattoria quasi piena.

 

 

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