“Sono solo
sciocchezze”
“Come dici?”
“Niente, niente,
sono solo sciocchezze”
“Non ti sento,
alza la voce. Dio come non ti sopporto quando borbotti a questo modo”
“HO DETTO CHE
SONO SOLO SCIOCCHEZZE”
“Non devi mica
urlare però eh!”
Una voce da
blues, se sapesse cantare.
Una voce da
narratore, se avesse voglia di parlare.
Sta scavando in
un cassonetto, il solito, il preferito, dietro alla trattoria dalle tovaglie a
quadretti rossi. Le tendine alla vetrina sulla strada principale, per dare
l’immagine di casa, di famiglia, di autenticità. La porta sul retro, quella
della cucina, è socchiusa: i cuochi sono già al lavoro. Cominciano presto.
Prima arriva il comandante in capo. Riordina la spesa, organizza il
frigorifero, prepara il menù. Poi alla spicciolata, ma non troppo, arriva il
resto della truppa. Biascicano un saluto, si infilano il grembiule a righe
bianche e gialle, sanno già dove dirigersi. I movimenti sono sempre gli stessi
da anni. Il percorso, i compiti, la precisione. L’abilità, la pratica,
l’esperienza. Ultime arrivano le cameriere, quasi tutte donne tranne Manuel.
L’atmosfera è serena e attiva, ognuno indaffarato a suo modo.
La porta si apre
completamente, arrivano i primi scarti. Foglie esterne, radici, bucce, croste.
Quello è il momento di Oscar. Un colpo di tosse catarrosa, aspettando che
abbiano finito di lasciare i resti inutili, poi si avvicina. Sposta con le mani
sudice, annusa, sceglie. Porta alla bocca, mastica lentamente, sputa. Passa al
suo compare, che sgomita un pochino ma non arriva bene al sacco. Non ha tanta
forza per farsi spazio e non litiga con Oscar. Lo ha fatto, una volta, una
delle prime in cui si erano incontrati. Ma Oscar lo ha zittito, gli ha tirato
una manata che pareva di aver sbattuto contro un muro. Lui non vuole grane, non
è robusto. È un vecchio avvizzito in abiti di fortuna, troppo grandi e
fuorimoda. Ha imparato; aspetta e si accontenta. È tutta la vita; aspetta e si
accontenta.
Sulla strada
principale arrivano i primi clienti. Lo scampanellìo della porta avvisa i
camerieri che lentamente smettono il confronto sul programma di ieri e si
avviano, uno al tavolo, gli altri a finire di preparare. Non è bene farsi
trovare in gruppo a chiacchierare.
Le cortesie, il
menù, i consigli.
L’acqua
frizzante, un nuovo scampanellìo, le posate disposte correttamente.
Il pane fresco,
sbocconcellato facendo due parole, la giacca appesa, il telefono con il
vibracall.
Oscar aspetta le
uova. I gusci, ovvio. Sa che le proteine che lecca sono importanti. Ha
studiato, almeno un po’. Sa come comportarsi, sa come sopravvivere. I gusci
sono tanti, qui. Se li dividono, dopotutto lui è una persona corretta. Ora però
è tempo di spostarsi. La porta sta per spalancarsi di nuovo. Oscar riconosce i
profumi, che emergono con il vapore dalla fessura della soglia accostata. Non
devono farsi trovare lì. Non troppo vicini, è un tacito accordo.
“Vieni su,
andiamo”
“Aspetta un
attimo”
“Ho detto
andiamo. Poi si torna”
La porta sul
retro si apre, le braccia robuste con le maniche rimboccate portano un nuovo
secchio di scarti. Il cuoco si gira verso di loro. È giovane, a stento
trent’anni. Le guance sono arrossate dal calore delle pentole, i riccioli
scappano fuori dal cappello a bustina. Depone un mezzo sorriso, rientra.
Oscar si
riavvicina piano. Sembra un orango in avanscoperta. Le trovano subito: frattaglie
cucinate. Oscar l’aveva intuito dallo sguardo. Se le dividono in silenzio, con
voracità. Oscar se ne mangia di più; in fondo è più grosso, e la trattoria l’ha
individuata lui.
Si pulisce le
guance con la manica. La barba rimane un po’ unta.
“Il gomito, mi
fa male questo gomito. L’ho battuto ieri, mi fa ancora male”
“Sciocchezze,
solo sciocchezze”.
Oscar si
incammina fuori dal vicolo. L’altro lo segue ubbidiente e curvo come una foglia
d’autunno. Per fortuna invece è primavera, e il peggio è passato. Sul
marciapiede davanti, inquadrato da mattonelle di porfido rosso, un albero dai
fiori rosa macchia di vita il grigio sporco del muro.
Il cielo è
chiaro, la trattoria quasi piena.
Nessun commento:
Posta un commento