venerdì 5 febbraio 2016

LA BAMBINA MANGIATUTTO di Francesco Barilli


Quella donna aveva indubbiamente i baffi. Se avesse aperto la bocca avrebbe mostrato delle zanne digrignanti da infermiera mannara. Aveva il camice bianco, come uscito dalla pubblicità di un detersivo, e camminava con un’espressione dei suoi occhi assente e annoiata. Lo sguardo di chi è abituato alla sofferenza e al disagio da non farci più caso. Come quei medici legali che nei film appoggiano il sandwich sul cadavere tagliuzzato dell’autopsia.

Joseph e Frank erano seduti accanto al letto di Valentina, e la loro faccia invece era da servizio del telegiornale. Sconvolti, assorbiti dal volto placido di lei, che sembrava soltanto dormire. E invece stava morendo.

Frank non era il miglior amico di Valentina, ma Valentina era senza dubbio la persona più importante per lui. Anche per Joseph Valentina era importante: sapete com’è, era suo padre. I due, seduti accanto al letto della ragazza, non si conoscevano un granché. Nonostante la non indifferente mole che li accomunava, e la propensione al mutismo, non avevano molto da spartire.

L’infermiera si avvicinò, cercando di far capire con lo sguardo che era meglio che liberassero il campo, a quel punto. Restarono immobili. Figuriamoci. Era Valentina, diavolo: non il solito cadaverino sul quale appoggiare i panini schifosi al formaggio. Smamma via te, capocciona.

Fatto sta che alla fine fu proprio l’infermiera a tornarsene dal corridoio dove era venuta. Joseph allungò una mano fino a intrecciarla alle dita della sua bambina. Non avrebbe pianto: un congegno meccanico marziano nei suoi occhiali glielo impediva. Ma se avesse continuato a stringere la mano della ragazza a quel modo, ci sarebbe voluto il gesso. Bella storia da raccontare, il cadavere di una ragazza di vent’anni deposto nella bara con la mano appena ingessata. Poi Joseph sentì fame. Incurante della occhiate supplicanti della paziente immobilizzata sul letto accanto, prese una banana dal cesto della frutta.

- Ne vuole un po’?- disse Joseph. La signora fece cenno di sì col capo. Joseph iniziò pazientemente a sbucciare il frutto, morbido e dolce. Poi se lo sbranò. Alla faccia della vecchia. Era una caratteristica di famiglia: anche Valentina era una mangiatutto; perennemente affamata, ogni ora era l’ora di pranzo.

Accanto a Joseph, Frank era inginocchiato a dire una preghiera. Joseph non credeva in Dio, almeno non quel nome a cui si rivolgono quelli detti credenti. Frank stava mormorando parole incomprensibili.

- … Come vuoi che faccia ad esaudirti, se non capisce niente?-

- E’ il pensiero.-

- Allora tanto vale che stai zitto.-

Il risultato della dissertazione furono la pesca, le due albicocche e la mela della vecchia in fondo allo stomaco dei due. Crederci oppure no, non un solo pensiero di Joseph e Frank si allontanò da Valentina, e dal modo in cui la sua piccola macchina era uscita fuori strada. Al momento del botto, c’era un peluche verde seduto accanto a lei. Un pupazzo di Snoopy, con le cinture allacciate. Almeno lui era uscito illeso dall’incidente.

 

Il giorno dopo i nipoti della vecchia sorridevano davanti alla nonna addormentata. Aveva mangiato tutta la frutta: buon segno. Ne lasciarono altra, assieme ad alcuni pacchetti di cracker.

Due ore dopo arrivarono anche Joseph e Frank. Insieme, senza darsi appuntamento.

- Sai anche tu che quei dottori non capiscono niente, vero?-

Frank non rispose.

- I dottori sono tutti stronzi- continuò Joseph.

Frank rimase zitto.

- Mi sembra impossibile che non si possa fare niente per lei.-

Nessun messaggio dal pianeta Frankie.

- Non posso arrendermi, capisci?-

Frank continuò a guardare il cestino della frutta. Ancora qualche istante di silenzio. Poi i due si misero a mangiare.

Frank guidava come un cane. Sarebbe stato interessante però guardare in faccia il tale che qualche mese prima gli aveva consegnato sorridente la patente di guida in mano. – Complimenti Frank, sei in grado di guidare.- Se lo diceva lui. Joseph comunque non era preoccupato. 
Un altro incidente, dopo quello di Valentina, non era un’eventualità che occupava la sua testa. La strada fino a Mountgate era semplice, la conosceva bene. Ci aveva passato l’estate con la famiglia, bambina compresa, per una ventina d’anni.  Poi aveva deciso di vendere, facendoci restare male un po’ tutti. Si era pentito poi di avere venduto, ma non sempre si fa la cosa giusta. Tipo uscire con la pioggia con la piccola macchina bianca, avendo solo un pupazzo verde a farti compagnia, ecco un altro esempio.
Ricordò la prima volta che aveva portato Valentina ad imparare a guidare.
- Papà, mettiti la cintura- gli aveva detto lei.
- ‘Sti cazzi- aveva risposto lui, solenne come nello spiegare Il Capitale di Marx. Lei si arrabbiò, e Joseph in quel momento pensò che, almeno a numero d’incazzature, era largamente in credito. Come quando l’aveva sorpresa a fumare l’erba con le sue amiche, in camera da letto. Aveva urlato qualche scemenza, poi quando le mocciose si erano dileguate terrorizzate, si era messo lui a fumare la sigaretta lasciata accesa. Era erba buona, un peccato buttarla via.
Oppure quando aveva pensato che ci fosse qualcuno, nel letto con lei. Non che ci fosse nulla di male, ma diamine, aveva quindici anni. Joseph entrò come un uragano, lanciò il suo famoso sguardo inceneritore qua e là nella stanza. La prima cosa che pensò fu che non era possibile che una tipetta con tanti pupazzi scemi in camera fosse pronta per farlo, e si apprestava a darle una bella lezione, condita dalle saette del Famoso Sguardo Inceneritore, quando si accorse della cantonata. Nel letto c’era Serena, l’amica bassotta di Valentina: per il momento il massimo della trasgressione era ancora qualche tirata di spinello, meglio così.
Frank dette un paio di sterzate al volante che avrebbero fatto vomitare un dannato porco.
- Che accidenti fai, la strada è diritta come un righello!-
- Non ho … molta … esperienza.-
Un’occhiata al tale della patente andava data, prima o poi.
Non si sa come, arrivarono al vialetto della vecchia casa di campagna.
- … Il posto dove vado a sognare- diceva Valentina ai suoi amici perdigiorno- … E’ qui che devi venire a cercare il mio spirito, quando sarò morta- aveva detto a suo padre un giorno, quando era ancora molto piccola.
Lui era rimasto stupito di come una bambina di sei anni potesse parlare a quel modo della morte. Aveva sempre pensato che i bambini, fino a diciotto anni credessero di essere immortali. Che credessero nel comunismo fino a novantanove, e credessero nell’Aldilà del Paradiso il giorno prima di morire. L’amico di Valentina, Frank, mosse il suo grosso culo dall’automobile e seguì Joseph in giardino. Era rimasto affascinato dalle parole di Joseph sull’inettitudine dei dottori; aveva perfino smesso di mangiare, per qualche minuto. Poi aveva ricominciato, più famelico di prima, ma lo stesso aveva deciso di accompagnare il papà di Valentina nel posto dove lei raccontava di andare la notte a sognare.
Il tale che aveva comprato la casa di Mountgate era un idiota. Joseph lo conosceva da un sacco di tempo, e aveva sempre pensato di lui che fosse un idiota. Per fortuna non c’era quel pomeriggio, e da idiota quale era aveva lasciato aperto il cancello.
- Andiamo in casa?- chiese Frank.
- A fare che? A fare l’inventario dei brutti mobili che messo là il nuovo proprietario? No. Andiamo in giardino. Là in fondo.-
C’era un angolino, piccolo piccolo, dove una minuscola bambina, neppure tanti anni fa, andava a rintanarsi. Al confine con lo steccato di legno, al di là del quale vi era il bosco nero e buio. Era i regno di Valentina, coi suoi giocattoli fatti di foglie e pezzetti di legno parlanti.
Come fare a non pensare a lei, che passeggiava per casa col registratore in mano, a intervistare i mobili dell’appartamento:
- Oggi, signore e signori, abbiamo l’onore di avere nella nostra trasmissione il Rubinetto. Allora, signor Rubinetto, come sta?-
Scroscio d’acqua.
- E’ soddisfatto della sua vita di rubinetto? Le vogliono bene in casa?-
Altro scroscio d’acqua.
- Che pensa del gatto che ogni viene a stiracchiarsi dalle sue parti?.
Altra acqua che scorre.
C’erano un sacco d’interviste come quella, su quella cassetta. Da quando Valentina era all’ospedale Joseph aveva passato le notti in bianco ad ascoltare la bambina intervistare il Tappeto Brontolone, la Caffettiera Ridacchiante, i Signori Pennarelli. Ce n’era perfino una in cui Valentina disquisiva a lungo con la sua amica del cuore circa le merde che si pestano per strada.
Joseph pensava a queste cose, quando un gigantesco culo gli si parò davanti.

- Non facciamo scherzi- disse spaventato Joseph, ma Frank era semplicemente chinato ai piedi delle radici di un vecchio albero.
- Che stai facendo?- chiese il padre di Valentina.
Frank non rispose. Tanto per cambiare. La voglia di mollargli un calcione era immensa, ma Joseph rimase immobile, chiudendo gli occhi. Dalla terra del giardino, dai cespugli, emanava un profumo. L'odore di Valentina, avrebbe detto. L'odore della sua pelle, quando era poco più grande di un pupazzetto e portava i vestiti del suo orsacchiotto. Lo stesso profumo che avevano i suoi capelli quel giorno che l’aveva sorpresa stesa sul letto, triste triste. Una faccenda di cuore, probabilmente. E lui che le aveva detto di tirarsi su, di non arrendersi, perché un marxista non si arrende mai. Gli era venuta bene, quella. Non c’entrava un accidente, ma era stata di grande effetto. Il profumo. Tra le foglie. “E’ qui che devi cercare il mio spirito”: prima che lei muoia, per tenerla con me. Non può andarsene. Non prima che le abbia detto quanto sono orgoglioso di lei. E quanto le voglio bene,. Magari dio non esiste. Anzi, è scientificamente provato che è tutta una cazzata, però se qualcuno volesse convincermi con un miracolo della sua esistenza, questo è il momento buono.
Frank si sollevò da terra, con in mano un oggetto rettangolare, tutto sporco di terra. Come miracolo un po’ misero, in effetti.
 
L’infermiera mannara restò di sasso. Non solo la  vecchia aveva sbranato di nuovo tutta la frutta, nonostante fosse attaccata alla flebo. C’erano anche quei due esseri enormi seduti sul letto della paziente più giovane. La ragazza dell’incidente in macchina.
C’era una cassetta di legno, aperta sul letto di Valentina. Un mare di ninnoli era sparso sulle coperte. Foglie secche, legnetti dipinti. Poi perline di vario colore, piccoli bottoni, alcune figurine, un flauto. Delle foto: la sua amica grassona, la sua amica racchia che Valentina diceva essere bella, l’amico che era solo un amico ma forse no. Un orso con la faccia da scemo. Un cane verde col muso da furbacchione. E tante altre cose, ma proprio tante.
- Dove credete di essere? Dal rigattiere?-
Frank e Joseph non la degnarono di uno sguardo. Solo quando l’infermiera afferrò il flauto con fare minaccioso il papà di Valentina aprì bocca:
- Quell’affare è costato un sacco di soldi. Ma credo che lo stesso questo bestione non esiterà a infilarglielo da qualche parte, sorella.- Poi si girò verso l’infermiera:- … Nel culo, intendo.-
Quindi Joseph si girò di nuovo verso Valentina. Chiuse gli occhi e poggiò il suo testone sul petto della sua bambina.
L’infermiera sussultò, mandando un grugnito.
- … Ora Frank s’innervosisce- disse fra sé Joseph- credo cercherà di fargli inghiottire un orso, come minimo.-
Invece anche Frank sussultò, tirando uno strattone al collo di Joseph che avrebbe fatto danno su  qualsiasi essere normale. Joseph alzò il capo.
Valentina aveva aperto gli occhi. Era sveglia, perfino con l’aria un po’ indispettita. La bocca di Joseph si spalancò, come quella di un personaggio dei cartoni animati.
- Che c’è da mangiare?- chiese Valentina. Gnam gnam. Tanto per non smentirsi.
 
Due giorni dopo Joseph uscì dall’ospedale con Valentina in braccio, come aveva fatto una ventina d’anni prima, con lei avvolta nel vestito dell’orsacchiotto. C’era anche Frank, che trascinava un sacchetto colmo di oggetti con una mano, e tenendo una scatola rettangolare di legno, nell’altra.
- Forse è stato un miracolo, certo- pensò fra sé e sé Joseph- ma non crederò in Dio fino a che non mi avrà spiegato come la pensa sulla lotta di classe.
- Spostati, ciccione- disse a Frank- guido io.
 

 
 

 

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