Iris aprì gli occhi e il sole estivo che filtrava dalle
serrande le punse gli occhi come uno spillo. Girò il volto e cercò le ciabatte.
Si alzò, entrò in bagno e si lavò il viso cercando a tentoni il sapone nero di
Aleppo all’eucalipto, invisibile in quella penombra. Ancora si domandava se il
profumo valesse quella estenuante ricerca tutte le mattine.
Attraversò il corridoio e vide sullo sfondo un fascio di
luce inondare la cucina.“Mamma sto arrivando puoi abbassare un po’ le serrande ?”
La madre prese il rotolante ma prima ricontrollò la tavola: la tazza col latte davanti alla sedia, a sinistra la scatola di corn flakes, a destra il cucchiaio, il coltello e il barattolo del miele. Poteva tirare giù.
“Tesoro mio.” Le si avvicinò baciandole la testa. “Perché non hai gli occhiali ?”
“Li ho lasciati in camera, scusa.”
“Iris quest’anno andrai alle medie, non ci sarà la maestra sempre con te, pensa a cosa potrebbe succedere se li lasciassi a scuola”
Iris era affetta da Acromatopsia: condannata ad una vita di
costante penombra.
Tornò in camera, prese gli occhiali con le lenti filtranti
nere e si mise a sedere accanto alla finestra a leggere il libro “Filastrocche
in cielo e in terra” di Gianni Rodari.Al di là del vetro c’erano gli alberi neri pieni di foglie e sotto un gruppo di bambini con varie tonalità di grigio e qualche macchia di bianco all’altezza del viso che giocava a calcio. Sulla destra una ragazzina su una bicicletta argento correva sulla strada ardesia mentre la nonna con la camicia bianca e i capelli cenere sembrava seguirla.
“Una volta c’era un pittore povero in canna, non aveva nemmeno un colore…”
Dietro il giardino vide la scuola, tutta in cemento e sulla rampa in cotto altri bambini con i cappelli scuri che scendevano con gli skateboard, mentre uno di loro piangeva in terra toccandosi il ginocchio.
O almeno immaginava perché così lontano era tutto buio e offuscato, senza contorni.
“…andò dal padrone del Blu e gli disse per favore dammi un po’ di colore…”
Iris chiuse gli occhi.
Gli riaprì e vide sé stessa aprire la finestra allargare le braccia e iniziare a volare. Sopra di lei il cielo era azzurro senza una nube e in lontananza un aereo viola con la scia bianca Abbassò gli occhi sui bambini che giocavano a pallone. Girò il polso, aprì la mano e uscirono dalle dite raggi di verde primavera che colorarono gli alberi neri, strisce di giallo limone sulla bicicletta e di carminio sulla strada. Alla nonna dipinse la camicia di magenta e i capelli tornarono biondi.
“…andò dal padrone del giallo e gli disse: prestami qualche
avanzo di colore, un ritaglio…”
Volò sulla scuola e vi sparse sopra il celeste acquamarina
mentre al bambino che piangeva trasformò la sbucciatura in una macchia turchese.
Planò poi sul mare e lo trasformò in blu cobalto, pennellò di avorio le cime
dei monti e mischiò tutti i colori per coprire i prati con i fiori. Riaprì gli occhi e ritrovò l’oscurità. Il grigio e il nero.
“Iris” la chiamò il padre rientrando in casa. “Vieni qui” La
bambina si avvicinò lentamente perché nel chiaroscuro a volte perdeva i
dettagli e capitava di battere contro le sedie.
Il padre la prese in braccio, le schioccò un bacio e le
diede un pacco.” Aprilo”Iris strappò la carta: era un paio di occhiali. Si imbronciò.
“Aspetta, indossali prima di fare il labbrino”. Gli inforcò, le lenti filtranti erano rosse. Proteggevano ugualmente dalla luce come le scure ma andavano a raccogliere anche parte dello spettro nascosto ai coni della retina abilitati alla visione diurna.
“…e il povero pittore adesso che aveva un colore si sentì più ricco di un imperatore…”
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