domenica 7 giugno 2015

LA RAGNATELA di Monica Capomonte

Quando vidi sciogliersi la polvere nell'acqua del bicchiere, pensai che forse se ne sarebbe accorto. Sarebbe cambiato il sapore, la consistenza. Girai più volte con il cucchiaino. Mi fermai di nuovo a guardare. Poi girai di nuovo. Posai il bicchiere sul vassoio, quello leggero e screpolato  che avevamo comprato anni fa in quel viaggio in Danimarca. La sconosciuta che ci sorrideva da anni dal disegno, con  sotto quella scritta incomprensibile in quella lingua straniera, sembra dirmi:  “non farlo”. Ma  non c’era nessun fumetto danese che  cercava di lanciarmi avvertimenti. Ero io, presa dagli ultimi dubbi, che cercavo un appiglio. Er a la parte di me che avrebbe voluto che tutto tornasse come prima. Ma non era possibile. Era oramai molto tempo che il veleno si era insinuato nelle nostre vite, nelle nostre parole, nei nostri silenzi. Il rancore è  un ragno paziente che tesse la sua tela. La ragnatela copre ogni spazio, lentamente, congiungendo oggetti, persone, ricordi. Camminavo verso la camera di  Jeff stando attenta che il vassoio  restasse in equilibrio. Cercando di non incespicare nelle ragnatele che sentivo avvolgermi le  caviglie. Mancavano ormai pochi passi, e sarebbe finita.
Non mi ero mai resa conto che  nel corridoio della nostra casa ci fossero tutti quegli specchi. Vedevo il mio viso sfiorito osservarmi da vari angoli nascosti della parete. Guardata, giudicata ancora una volta. Avvelenata.  Arrivata alla porta accostata della camera, posai lo sguardo  sull'acqua del bicchiere. Era di nuovo limpida e trasparente. 
Mi preparai a sorridere  per un ultima volta.



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