Quando vidi sciogliersi la polvere nell'acqua del bicchiere, pensai che
forse se ne sarebbe accorto. Sarebbe cambiato il sapore, la consistenza. Girai
più volte con il cucchiaino. Mi fermai di nuovo a guardare. Poi girai di nuovo.
Posai il bicchiere sul vassoio, quello leggero e screpolato che avevamo comprato anni fa in quel viaggio
in Danimarca. La sconosciuta che ci sorrideva da anni dal disegno, con sotto quella scritta incomprensibile in
quella lingua straniera, sembra dirmi:
“non farlo”. Ma non c’era nessun
fumetto danese che cercava di lanciarmi
avvertimenti. Ero io, presa dagli ultimi
dubbi, che cercavo un appiglio. Er a la parte di me che avrebbe voluto che
tutto tornasse come prima. Ma non era possibile. Era oramai molto tempo che il
veleno si era insinuato nelle nostre vite, nelle nostre parole, nei nostri
silenzi. Il rancore è un ragno paziente
che tesse la sua tela. La ragnatela copre ogni spazio, lentamente, congiungendo
oggetti, persone, ricordi. Camminavo verso la camera di Jeff stando attenta che il vassoio restasse in equilibrio. Cercando di non
incespicare nelle ragnatele che sentivo avvolgermi le caviglie. Mancavano ormai pochi passi, e sarebbe finita.
Non mi ero mai resa conto che nel corridoio della nostra casa ci fossero
tutti quegli specchi. Vedevo il mio viso sfiorito osservarmi da vari angoli
nascosti della parete. Guardata, giudicata ancora una volta. Avvelenata. Arrivata alla porta accostata della camera,
posai lo sguardo sull'acqua del
bicchiere. Era di nuovo limpida e trasparente.
Mi preparai a sorridere per un ultima volta.
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