Armando come
sempre era pronto. Aveva fissato con Giulia per l’appuntamento rituale del
mercato in piazza della domenica, davanti al
Bar Commercio, alle 10.
Ed erano le
10.30.
L’aspettava
vestito della felpa blu con in mezzo lo scudo bianco e rosso e la stella
centrale di Capitan America e un paio di jeans strappati; non per moda. Il
giorno successivo sarebbe venuta la madre a rifornirlo di abiti e soldi.
Giulia
arrivò di corsa sorprendendolo da dietro “Buh” fece ridendo.
“Giulia
caspita ma se diciamo le 10 non è che puoi arrivare quanno te pare! “
“Armà, io so’
na donna, mezz’ora non è ritardo.”
Giulia si era presentata con un paio di jeans
stretti che, su quelle gambe, la facevano assomigliare a un fenicottero, e una maglietta bianca con scritto “SEPARARE
LA FORMA DAL CONTENUTO- ROBA DA DESIGNER” con la parola forma precisa nel punto del
corpo dove acquistava un senso.
“Annamo dai”
e prese Armando sottobraccio.
“Giulia sei sicura? Senti il silenzio, la
calma, la pace. Se giriamo l’angolo è l’inferno, ci saranno sei milioni di
persone!”
“Semo a
L’Aquila mica in Cina!”
Armando
aveva conosciuto Giulia in mensa universitaria, nel momento in cui chiedendo il
petto di pollo col purè aveva tradito l’origine frusinate: “Sei ciociaro pure
te ?” si girò all’improvviso Giulia, lasciando il vassoio con le verdure.
“Si di Sora”
sussurrò Armando.
“Ma dai! io
de Arpino” gridò invece la ragazza.
Da quel
momento iniziò la loro amicizia fatta di complicità in una città a 100 km dalla
loro, serate a preparare gli esami, domeniche al mercato e chiacchiere sui
disperati e volubili amori di Giulia.
La piazza, a
lastroni larghi in pietra, pendente a partire dalla fontana centrale, era ricolma
di bancarelle. Coi loro tendoni, per lo più bianchi, si spartivano lo spazio incastrandosi uno con
l’altro tipo tasselli del Tetris. I corridoi che si formavano, erano
straboccanti di gente di ogni età che approfittava della giornata calda per
riversarsi fuori casa.
“Si Giulia,
però promettimi che non ci fermiamo alle bancarelle dei vestiti. Tanto non hai
soldi.”
“Me lo paghi
te!” le si rivolse facendo l’occhiolino in modo malizioso.
“A Giù, lo
vedi ? Vado in giro coi pantaloni bucati. Ma secondo te, se avessi i soldi,
uscirei la domenica con la felpa di Capitan America?”
“No , nun te
se po’ vedè!” Giulia si fece avanti per andare al banco della frutta e mentre
sceglieva le fragole –una a una- girava la testa facendo dondolare la coda di capelli neri. Armando la guardava e
si chiedeva se meritava di poter ammirare tanta bellezza.
Così per
distogliere lo sguardo prese un mazzo di asparagi raccolti con un elastico, i lunghi
gambi dei porri, quattro pomodori pachino e iniziò a comporre la bandiera
italiana.
“Dai Armà e
smettila. Andiamo!”
Continuarono,
superando prima un’anziana alta come il trolley che trascinava, ricoperta da
uno scialle di lana nero e col viso raggrinzito e bruciato dal sole, indecisa
tra il banco del pesce e quello della carne. Quindi due ragazzini, entrambi con le tempie rasate e un enorme ciuffo a
coprire la fronte, che stavano
accendendosi una sigaretta guardandosi attorno per cercare persone da cui non
farsi vedere. Armando si fermò al furgoncino degli insaccati e dal bancone
sopra elevato si affacciò una signora rotonda, con le gote rosse e un sorriso
avvolgente, vestita con una maglietta bianca troppo poco contenitiva, avvolta
da un grembiule a quadri bianchi e rossi
che regalava tepore e serenità. Dietro di lei erano sospesi quattro prosciutti
e un numero imprecisato di salami con tutte le tonalità del rosso, fino al
marrone, che inondavano l’aria del loro
profumo di carne, fumo, sale e attesa.
“Signora” esordì Armando “mi dà una salsiccia
di fegato” si girò verso Giulia che fece un smorfia “ e una ventricina aquilana
piccante”
Giulia si voltò
distrattamente verso la porta della chiesa delle Anime Sante e vide spuntare
fra le decine di teste ondeggianti, Marco insieme alla sorella Sara.
Sara era una
di quelle ragazze che in tempi di politicamente corretto si definirebbe
problematica. Aveva i capelli fini biondi, né corti né lunghi, raccolti a
formare una minuscola coda. Gli occhi, azzurri, provavano a farsi spazio tra la
fronte liscia bianca e lunga come le scogliere di Dover e le guance troppo
piene per potere stare in un unico viso. La bocca poi sembrava un taglio dei
quadri di Fontana tra il naso e il doppio mento. Viveva in simbiosi col cellulare
dallo schermo di 5,2 pollici, che teneva stretto fra le mani vicino all’orecchio.
Sara saltellò incontro a Giulia incurante dei colpi che portava alla gente
vicino ai banchi e la abbracciò fino a stritolarla
“Bella sei
Sara, ma quanto sei bella!” Sara la baciava in ogni punto delle guance.
“Armà bravo
compra un po’ de salsicce che quando venimo da te ce dovemo sempre portare tutto da casa” si avvicinò
Marco.
“Ma infatti,
ma chi te ce vò a casa” Marco era di Ceccano, anche lui a studiare nella città
abruzzese, e partecipava alle cene ciociare che spesso organizzavano. Giulia,
dalla prima volta, quando lo guardava si illuminava, e Armando lo sapeva.
“Dai regà ve
lasciamo che mi sorella vuole un gelato. Venite da noi mercoledì che guardiamo
la Champions ? Ce sta Liverpool Chelsea mica cotica!”
“Dai si,
porto la Ventricina” rispose Armando che dentro di sé faceva i conti di cosa
fosse più economico rispetto a dover portare un dolce o le birre.
Giulio e
Armando continuarono e vennero attratti dall’odore grasso di latte e caglio. Si
fecero spazio tra la gente accalcata al vetro di plexiglass al di là del quale
troneggiava una bacinella piena di acqua da cui emergeva la rotondità di almeno
dieci mozzarelle. Accanto accatastati in
modo disordinato, forme diseguali di
pecorini di varia stagionatura. Quindi tre contenitori conici bianchi, con
aperture rettangolari nei quali era riposta la ricotta. Giulia li guardava con
avidità e Armando la osservava mentre con due dita accompagnava una ciocca di capelli dietro
l’orecchio. Gli sembrava un gesto talmente elegante e sensuale da sconvolgere
ogni leggi della fisica che era costretto a studiare in facoltà. Poteva
ricordare ogni singolo istante passato con lei, e il suo cervello si adoperava
a cercare scuse e occasioni per trascorrerne altri.
Le campane
dalle torri del Duomo suonarono; all’attuale folla si sarebbero aggiunti
bambini urlanti in pantaloncini corti che correvano, donne su tacchi del tutto
inadeguati per quella pavimentazione scoscesa, signori attempati con la giacca
della domenica e cravatte annodate troppo corte davanti e troppo lunghe dietro,
anziane col cappellino il ventaglio e l’immancabile vestito nero, perché c’era
sempre un lutto a cui aderire.
“Armà dai
annamo se no non usciamo più dalla piazza. Senti, oggi pomeriggio sto a casa a
studiare che ho l’esame di Scienza delle Costruzioni. Stasera chiamami che
vediamo cosa fare in settimana!”
“Sto a casa
anche io. Passerò la notte sul libro di Meccanica Quantistica ”
La sera
Armando, dopo averla sentita le mandò il consueto messaggio di buonanotte. Da
quel momento, regolarmente, prendeva e posava
il cellulare in attesa della risposta.
Giulia quella
sera gli stava scrivendo che si era
sentita sola. Che le sarebbe piaciuto fosse passato a trovarla, perché era una presenza essenziale nella sua vita e
avrebbe voluto capire in quale ruolo.
Armando
stava odiando nello stesso modo il principio di indeterminazione di Heisenberg
e il suo Iphone che non segnalava messaggi . Decise, per la prima volta nella
vita, di prendere l’iniziativa. Afferrò
il cellulare, cliccò sulla nuvoletta degli sms e
le scrisse “Giulia lo so che sto facendo
una cazzata ma te lo devo dire: tu sei più di un'amica e te lo scrivo perché
non riuscirei mai a dirtelo in faccia."
Guardò l’ora: 3:15. Rilesse il messaggio, fece per digitare la scritta
blu Invio, poi ci ripensò. Ripete questo rituale altre tre volte. Alle 3:31 si
decise.
Quindi il
boato.
Ore 3:32 , L’Aquila
non sarebbe mai più stata quella di prima.
Alcuni ore
dopo vennero trovati senza vita i corpi di Giulia Carnevale e Armando Cristiani
Entrambi tenevano stretto un cellulare in mano. E su tutti e due gli apparecchi
c’era un numero uno rosso sopra l’icona verde degli sms.
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