domenica 7 giugno 2015

CRONACA DI UNA SGRANATA di Narciso Fenice Ramparti

Non c'è modo di sfuggire alla spietata persecuzione dei viventi! Provi a praticare la virtù (o almeno il contegno) e ti bollano ora come snob o insensibile, ora come crumiro o moralista, ora come bigotto o intollerante. Viceversa, fai il liberista puro e in ogni caso apriti cielo: diventi comunque il traditore di qualche fottuto assioma etico impostato di default nel loro microencefalo. A questo punto, chiunque con un conto in banca inferiore al triliardo volesse cimentarsi nel compiacere l'universo mondo, finirà per imporsi un eclettico e funzionale equilibrio comportamentale: essere indifferente o partecipe, distante o entusiasta, lento o veloce, mite o incazzato  a seconda dell'effettiva necessità o convenienza. E qui, nel segno dell'aurea mediocritas, come la chiamavano gli antichi, emergono i conflitti di identità.             Ci ho anche provato, ma proprio niente da fare. Anzi, ho generato un consenso trasversale di vaffanculi senza precedenti, scontentando fasci e comunardi, mistici e razionalisti, cattolici e satanisti, estranei e conoscenti, cittadini irreprensibili e criminali consumati. Tutti finalmente d'accordo nel disprezzarmi quale meschino semiuomo.
E allora me ne vado coi miei amici a mangiare alla trattoria di Castello, tanto più che si festeggia anche il compleanno di Andre: quale scusa migliore per concedersi una serata conviviale da cui sia bandita ogni vibrazione negativa? Per chi ha ormai abdicato alla movida lisergica o sessualmente promiscua, specie noi che abbiamo penosamente scollinato sui quaranta, non esiste niente di meglio. Almeno al prezzo di 25 euri.
Ci si ritrova a casa dello stesso Andre, che mi ha già confermato la presenza di Sandro, Lore, Lapo e io, Franchino, Nicola, e Nicolino con la Betta. Una comitiva di tutto rispetto. Ma io, per bilanciare l'età media di tavolate come questa, in parte anche ispirato dal modello letterario del Satyricon petroniano, mi sono assicurato di presentarmi accompagnato dall'aitante pischello Matteo, il cui ancor giovane sangue risulta indispensabile per alcuni dei nostri rituali. Gli ho garantito che avrei pagato la cena e si è aggregato senza far storie (il mio pinopelosi!).
Dopo un po' di flanella, alle 20 e 41 ci sediamo a tavola. Mi piazzo a capotavola, rispettivamente affiancato dal veterano Andre e dalla recluta Matte, coi quali siglo un patto entusiasta e scellerato; è quello che si potrebbe tecnicamente definire un convivial threesome: ogni piatto che ordiniamo lo dividiamo in tre.
Antipastiamo con sagacia: crostini misti, zuppa di cozze, e frittura mista di pesce.
I crostini dell'Antonella, tipicamente toscani, spariscono in un microsecondo. La zuppa di cozze è un nostro classico, tradizionalmente sponsorizzato da Andre: viene servita in una conchetta di coccio, il cui fondo è guarnito di fette di pane deliziosamente impregnate dal guazzetto. Anche questa scompare in fretta. Più impegnativa la frittura mista, ordinata sull'onda dell'entusiasmo, e sempre varia ed abbondante; in questo caso abbiamo le nostre risapute preferenze: ciascuno va ghiotto di un pezzo diverso. I gamberoni se li pappa interi Matte (io neanche saprei come mangiarli), mentre Andre spazzola in ispecie i tentacoli fritti di cui, a differenza di me, va ghiotto, mentre io mi concedo gamberetti e totani. Nicolino e consorte si concedono a loro volta una frittura mista, mentre Sandro e Nicola, più alteri e aristocratici, indulgono ad un tagliere toscano. Gli altri non mi ricordo, erano troppo lontani dalla mia postazione.
Pit stop: sigaretta davanti alla porta con scambi di battute cordiali fra avventori abituali, ed ecco che l'amorevole Ivana viene ad avvisarci che il primo è stato servito. Nel nostro caso si tratta dei ravioli con robiola, rucola e speck dell'Antonella, mica cazzi: van giù che è una gioia. Ci limitiamo ad una sola scelta di pasta dacché per il round finale si profila una vera e propria sfida: il Carnaio, con cui – mi rendo conto –  ci giochiamo bellamente la nostra buona fetta di lettori veg.
Le seconde portate, apoteosi della serata, constano di: un indecifrabile “vitello di maiale imporchettato” buonissimo e in generosa quantità, tagliata della casa con rucola, funghi e grana, e, infine, il famigerato e mai troppo acclamato Orecchio d'Elefante, ovvero una monumentale braciola fritta larga come un lenzuolo. Patatine fritte dalla madonna in persona e vinello amabile. Alla fine, l'usuale boccia di lemoncello offertaci dalla casa: di certo sanno come assicurarsi il nostro apprezzamento. E io, in cambio, ne faccio letteratura.


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