sabato 28 febbraio 2015

MANI MORTE di Leonardo Canestrelli

Se ci pensi questa cosa è stranissima: stare in cinque persone a turno in una stanza ad aspettare che qualcuno muoia. E lascia perdere se è una persona vecchissima, che non sta soffrendo, che è giunta la sua ora, che i parenti se ne sono già fatti una ragione e tutte quelle cose lì: pensa al fatto che sei in una stanza ad osservare una persona attendendo che muoia. E magari c’è anche chi spera che accada il prima possibile: per amore della persona che sta morendo o perché magari vuole semplicemente che tutto finisca (non si sa se per sé o per l’altro). O magari c’è anche chi spera che la morte arrivi proprio mentre lui è lì: vedere arrivare la morte.
E’ come quando guardi una mano lunga e magra: lo sai che ti può accarezzare esattamente come le altre, lo sai che potrà essere addirittura più sensuale e promettente di mani più tozze, lo sai che se ti metti ad osservarle ti danno l’idea di fuggire lontano, di essere sempre un po’ distanti dal corpo cui appartengono. Ecco: la morte è come le mani lunghe e magre: sono affascinanti, ti fanno venir voglia di chiudere gli occhi, vorresti un’ultima carezza prima di andar via, e poi un’altra, e poi un’altra … perché non vuoi staccartene. Proprio come con la vita. E con la morte.
Io ho le mani lunghe e magre. Da sempre. Ogni tanto mi fermo ad osservarle. Tutti, fin da piccolo, a dirmi: hai le mani da pianista. No, io ho le mani di uno che fugge. Ma che fa in modo che non ci si stacchi da lui. Bel controsenso, eh?



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