sabato 28 febbraio 2015

IL TELEFONO di Francesco Barilli

Non era possibile. Si era messo a squillare un’altra volta. Quel maledetto telefono si era messo a suonare di nuovo. Lo colpii con un cazzottone. Tirato dall’alto, facendo calare il peso in maniera netta. Il risultato fu quello, pietoso, di far saltare la cornetta e di farmi esplodere un dolore atroce tra il dorso e la base delle dita. Mi mancava di rompermi una mano, dopo tutto il resto. Per poco non persi l’equilibrio sulla seggiola a rotelle. Mi appoggiai con entrambe le braccia al mobiletto del salotto, facendo franare i miei ottanta chili sul quel massiccio trespolo di legno scadente. Rimasi bloccato, come a ballare un lento in una balera, a riflettere sul da farsi. Avevo fame, da qualche mese a questa parte non era una novità: avevo sempre fame. Meno movimento facevo e più avevo voglia d’ingozzarmi. Qualcuno avrebbe visto un paradigma psicologico in tutto questo, anche se il sospetto che quest’espressione non significhi un bel niente è più che fondato. Lo sapevo chi era al telefono. Cioè, non proprio nome e cognome, ma sapevo che era uno scocciatore e questo bastava. Un’intervista, giusto due parole. Come si sente oggi?
Come mi sento: di merda, come vuole che mi senta.
Ma è questo che la gente vuol sentirsi dire.
La gente, di fronte a una storia come la mia, si aspetta qualcosa di incredibile. Un commento caustico, terribilmente arguto, o un grido disperato. O almeno un anelito di fede verso la vita eterna. E invece nisba.

Tanto vale che vi racconti anch’io la mia storia. Mi chiamo Adam, la mia mamma è francese, abito in Italia, dove ho frequentato le scuole all’Istituto Francesco di Sales di Milano.  Ho finito le superiori tre anni fa e mi ero iscritto all’Università, che ho lasciato dopo un anno e mezzo per via di un incidente. La mia storia è quell’incidente. La parrocchia di Santa Chiara, dove insegno catechismo da quando avevo quindici anni, decide di organizzare un viaggio a Lourdes per i disabili della Diocesi.  Con altri volontari ci attrezziamo per accompagnare Andrea, Ivo, Walter, Serena e Verdiana, che si vanno ad aggiungere ad altre 30 persone con gravi disabilità motorie.
Partiamo l’11 di maggio, proprio il giorno della partita in casa con la Juventus. Pazienza, mi dico: si vede che era destino. Il viaggio in treno è insospettabilmente piacevole: parliamo, cantiamo, giochiamo tra di noi. Sto bene, nonostante sia con noi anche Angela, la mia ex fidanzata, una brunetta capricciosa figlia di una cantante, con la quale sono uscito quattro mesi di fila. Angela ha capito che tra di noi può esserci solo amicizia e trova indispensabile ripetermelo tutte le volte che ci vediamo. Nonostante questo, dicevo, bene. Mi viene  affidato Ivo, un colosso di novanta chili che se ha voglia può mettermi al tappeto con un gancio destro, e che ogni volta che devo sollevare dalla carrozzina mi fa sentire più vecchio di quindici anni. Il 12 maggio visitiamo il Santuario, abbiamo diverse riunioni di preghiera e di raccoglimento. La sera stiamo insieme, uno dei volontari del gruppo di Mantova si bacia con Angela, credo più che altro per darmi fastidio. Sul momento ci rimango di stucco, poi di merda, poi mi passa, complice una sorta di acquavite che credo rappresenti la versione alcol droga e rock n’roll della comitiva.
Il 13 maggio, dopo la messa e il rosario, vado ad aspettare Ivo vicino allo spogliatoio della piscina dove ha fatto le abluzioni. Nel riaccompagnarlo verso l’albergo, una macchina che scende dalla cima del monte Orly perde il controllo, probabilmente per la pioggia del pomeriggio che è scesa abbondante e ha reso umido l’asfalto.
Risultato: sono partito per Lourdes come volontario giovane e in salute e ritorno in sedia a rotelle, invalido. Un vero miracolo al contrario. Dai, prendetemi per il culo. Avanti. Occasioni come queste non ci si lasciano sfuggire.
Se pensate che non poteva andare peggio di così, state a sentire il resto. Lascio l’Università, perché disabilità a parte, la notte continuo a sentire dolori fortissimi alla schiena. Le gambe, verrebbe da dire per fortuna, non le sento più. Poco male. Ingegneria gestionale non è proprio quella meraviglia che pensavo in quarta liceo.
Facevo fatica a tenermi una fidanzata quando stavo bene, figuratevi ora. Tre mesi fa la mamma di Angela mi ha invitato a cena a casa loro. Una roba imbarazzante. Mi guardavano come se fossi un rettile. Il marito della signora faceva l’amicone parlando di calcio, e ogni due frasi diceva cose del tipo “l’attacco zoppica”, “l’allenatore ha fatto il passo più lungo della gamba”, “in difesa siamo veramente degli handicappati”. Una roba penosa.
 Non chiamo Angela al telefono nemmeno sotto tortura.
Lei mi gira al largo e va bene così.
Non si sa come, ma credo c’entri con la mamma cantante di Angela, che una volta era quasi famosa e oggi come tutti i cinquantenni usa Facebook a sproposito, la mia storia viene conosciuta dall’opinione pubblica.
Gente mai vista né conosciuta parla di me, si indigna sui social network, commenta, fa indispensabili ed esilaranti battute sulla religione e sui preti. Poi si inizia con il bailamme della televisione. Una giornalista grassona mi tampina tutti i giorni per un mese. Al telefono, rompe sul fatto che la mia storia sia importante da raccontare, che sia un esempio morale per i giovani. Poi a gratis mi chiede se mi funziona ancora il gingillo, si accorge di avere toppato, spara ancora qualche revolverata sulla fede, Dio, il consumismo. Poi ricasca su un’altra domanda circa la funzionalità del mio cazzo.
Scopro che un mio compagno del liceo ha formato un gruppo ateo su Facebook di cui evidentemente si sentiva la mancanza. Perché perdere tempo con Cartesio, Spinoza, o Sant’Agostino quando posso leggere i vostri arguti post contro la religione su Facebook? Insomma, anche qui vengo tirato in ballo.
“Nooo, incredibile” Faccina con la bocca aperta e sei (6) punti esclamativi.
“Che storiaa!!! Io ci bestemmierei dalla mattina alla sera”
“Che caxx, ma daaai!!! Noo!!!”
 Faccina con il cuore(?), faccina a diavoletto, immagine di un orsacchiotto.
Boh.
Mi ha perfino scritto una tizia di un’associazione di disabili. Voleva conoscermi. Mi ha parlato di Gesù, della fede. Inspiegabilmente, dopo cinque minuti di telefonata voleva sapere se mi funziona il cazzo.  Mi ha scritto per incontrarmi. Anche lei è in carrozzina. A parte gli scherzi, che cosa vuoi che succeda? Al massimo facciamo gli autoscontri.
Il mio senso del ridicolo non arriva a tanto.

Mi piacerebbe dire che quello che mi è successo mi ha cambiato, e probabilmente è così. Ma non nel senso che vi immaginate. Ho preso qualche chilo, mangio in continuazione, sono spesso incazzato, alla lunga probabilmente impazzirò.

Perdonatemi: non ho avuto alcuna illuminazione di fede. La conversione da credente ad
“ancora più credente”, come i Metodisti che “rinascono in Gesù”, non fa per me.

Tuttavia trovo l’ateismo insulso, una pigrizia intellettuale di gente che prova sofferenza ma non sa dargli un nome. E poi, se non credi, con chi t’incazzi?

Rimasi fermo, a guardare la cornetta telefonica, aspettando che squillasse di nuovo. Volevo che suonasse, naturalmente, qualsiasi cosa è meglio  che niente. Ebbi l’impressione di sentire qualcosa.
E invece niente.

Purtroppo non accade tutto quanto come vogliamo noi, quando lo desideriamo. Non abbiamo un telecomando, o un joystick, per fermare le macchine che si avvicinano troppo, per far squillare i telefoni, per far sì che alla ragazza che ci piace venga voglia di baciarci.
Siamo piccoli a questo mondo, sarà meglio che ci abituiamo al fatto che siamo speciali sì, ma non è il caso di darsi tutta questa importanza.
Probabilmente, se continuo a parlare da solo, finirò col diventare matto.
Ma a ben guardare, non ero tanto normale neanche prima.

Ciao. Adam.

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