Io ero sicuro
che esistessi. Nella mia cameretta, piegato sulla mia chitarra ficcavo le punte
delle dita su quelle sei corde per cercare di tirare fuori dalle parole dei
miei cantautori dei sogni plausibili. Gli spartiti non erano veri spartiti, ma
testi con gli accordi segnati a penna. E anche i sogni forse erano
un'approssimazione di sogni veri. Ma mi bastavano eccome. Nessun plettro, solo
arpeggi, più compatibili coi regolamenti condominiali e coi fratelli che
studiano nell'altra stanza.
Io non sapevo
ancora che faccia avessi, che nome avessi, che odore avessero i tuoi capelli.
Ma ero sicuro che esistessi. Me lo avevano promesso quelle canzoni.
Sono passati
gli anni e il tuo nome l'ho appiccicato prima a una donna, poi a un'altra, poi
a chissà quante altre. Come un'etichetta nuova sul citofono di sempre, quando
cambia inquilino. Non era cinismo. Io tutte le volte ero strasicuro. Non era
accontentarsi. Dalla mia chitarra uscivano le stesse note. Ma con meno
frequenza. La voce più sicura. Il cuore, più grande e allenato, aveva bisogno
di meno battiti.
Adesso mi
trovo qui vero la fine di questo viaggio e mi accorgo di non averti mai
trovato. Dalle mie dita escono ancora le stesse canzoni. Escono con sicurezza,
con più tecnica, ma meno passione. Ero sicuro che esistessi, ma non ti ho
trovata. Non so dove sei scappata o dove ti ho fatto scappare. So che le
carezze non sono arrivate. E che le mie canzoni adesso non le conosce quasi più
nessuno. E chi le conosce le chiama evergreen
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