“Ogni
centimetro quadrato di pelle possiede circa 130 recettori tattili. Questi sono
divisi in cinque tipologie, a seconda delle sensazioni che trasmettono: freddo
(cellule di Merkel), caldo (corpuscoli di Ruffini), tatto (corpuscoli di
Meissner), variazione di pressione (corpuscoli del Pacini) e dolore.”
Sottolineò
scrupolosamente le definizioni. Poi prese quattro post-it, ognuno di un colore
differente, e scrisse le definizioni di ogni corpuscolo. Quindi li incollò con
meticolosa cura accanto al paragrafo, uno sopra l’altro. Chiuse gli occhi e
ripeté mentalmente il concetto. Dietro le palpebre sezionava l’epidermide,
osservava la ripartizione degli strati, individuava le terminazioni nervose.
Avvicinava l’inquadratura e categorizzava ogni elemento, determinandone nome,
derivazione e funzione. Ogni casella, un’etichetta. Tutto era in ordine. Era
perfettamente preparata.
Mentre usciva
dalla biblioteca, la borsa a tracolla, urtò con la spalla una persona che
entrava.
“Scusi”
articolò distrattamente mentre pensava alla trasmissione dell’impulso elettrico
scatenato dalla pressione esercitata dal corpo estraneo sulla superficie
cutanea.
Salì sulla
bicicletta e mentre stringeva la manopola del manubrio ripercorse con il
pensiero il tragitto del segnale lungo la fibra nervosa che dai muscoli della
mano risaliva fino al suo cervello e le faceva variare la presa delle dita
attorno alla gomma.
Pedalava
velocemente, la tracolla corta e salda sulla schiena, le guance leggermente
arrossate, il fiato caldo che le usciva dalla bocca e si schiantava
condensandosi contro l’aria frizzante di gennaio.
Arrivata al
portone di casa legò la bici con una catena spessa e salì gli scalini a due a
due. Sentiva il cuore pulsarle deciso nel petto – novanta battiti al minuto,
verosimilmente, soglia aerobica, produzione di lattato dalla glicolisi
costante.
Aprì la porta
e se lo trovò davanti.
“Ehi. Sto
finendo di impacchettare le ultime cose”
Sentì il
battito aumentare, anziché il contrario.
“A che ora
parte l’aereo?” chiese.
“Alle nove.
Per non ammazzarmi di ansia al check-in devo essere in aeroporto tra…”
“Cinquantasette
minuti”
Lui sorrise.
“Sei sempre
precisissima. Ho già salutato tutti, sei rimasta solo tu. Per fortuna sei
tornata, temevo che non avrei fatto in tempo a vederti”
Lei imbastì
una sorta di disinvoltura
“Non avresti
mai potuto! Sono la tua coinquilina preferita”
Ma gli occhi
guardavano la tappezzeria ingiallita.
Forse per
questo non si accorse di quanto si era avvicinato. Di come le avesse preso il
viso tra le mani. Di come le loro labbra stessero coincidendo così
perfettamente.
Non sapeva
più niente. Non era nemmeno sicura di essere ancora in piedi. Sentiva solo il
desiderio che quello stordimento non finisse mai.
Riaprì gli
occhi mentre lui stava raccogliendo lo zaino.
“Abbi cura di
te” le disse, accarezzandole il viso con la mano libera.
Due passi e
si richiuse la porta alle spalle.
Lei si
concentrò.
I
meccanorecettori del trigemino erano attivi, il potenziale elettrico aveva
proiettato al talamo, per raggiungere la corteccia somatosensoriale primaria.
Era solo un processo di trasduzione, si disse.
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