sabato 28 febbraio 2015

A MODO MIO di Sabrina Carollo

“Ogni centimetro quadrato di pelle possiede circa 130 recettori tattili. Questi sono divisi in cinque tipologie, a seconda delle sensazioni che trasmettono: freddo (cellule di Merkel), caldo (corpuscoli di Ruffini), tatto (corpuscoli di Meissner), variazione di pressione (corpuscoli del Pacini) e dolore.”
Sottolineò scrupolosamente le definizioni. Poi prese quattro post-it, ognuno di un colore differente, e scrisse le definizioni di ogni corpuscolo. Quindi li incollò con meticolosa cura accanto al paragrafo, uno sopra l’altro. Chiuse gli occhi e ripeté mentalmente il concetto. Dietro le palpebre sezionava l’epidermide, osservava la ripartizione degli strati, individuava le terminazioni nervose. Avvicinava l’inquadratura e categorizzava ogni elemento, determinandone nome, derivazione e funzione. Ogni casella, un’etichetta. Tutto era in ordine. Era perfettamente preparata.
Mentre usciva dalla biblioteca, la borsa a tracolla, urtò con la spalla una persona che entrava.
“Scusi” articolò distrattamente mentre pensava alla trasmissione dell’impulso elettrico scatenato dalla pressione esercitata dal corpo estraneo sulla superficie cutanea.
Salì sulla bicicletta e mentre stringeva la manopola del manubrio ripercorse con il pensiero il tragitto del segnale lungo la fibra nervosa che dai muscoli della mano risaliva fino al suo cervello e le faceva variare la presa delle dita attorno alla gomma.
Pedalava velocemente, la tracolla corta e salda sulla schiena, le guance leggermente arrossate, il fiato caldo che le usciva dalla bocca e si schiantava condensandosi contro l’aria frizzante di gennaio.
Arrivata al portone di casa legò la bici con una catena spessa e salì gli scalini a due a due. Sentiva il cuore pulsarle deciso nel petto – novanta battiti al minuto, verosimilmente, soglia aerobica, produzione di lattato dalla glicolisi costante.

Aprì la porta e se lo trovò davanti.
“Ehi. Sto finendo di impacchettare le ultime cose”
Sentì il battito aumentare, anziché il contrario.
“A che ora parte l’aereo?” chiese.
“Alle nove. Per non ammazzarmi di ansia al check-in devo essere in aeroporto tra…”
“Cinquantasette minuti”
Lui sorrise.
“Sei sempre precisissima. Ho già salutato tutti, sei rimasta solo tu. Per fortuna sei tornata, temevo che non avrei fatto in tempo a vederti”
Lei imbastì una sorta di disinvoltura
“Non avresti mai potuto! Sono la tua coinquilina preferita”
Ma gli occhi guardavano la tappezzeria ingiallita.
Forse per questo non si accorse di quanto si era avvicinato. Di come le avesse preso il viso tra le mani. Di come le loro labbra stessero coincidendo così perfettamente.

Non sapeva più niente. Non era nemmeno sicura di essere ancora in piedi. Sentiva solo il desiderio che quello stordimento non finisse mai.
Riaprì gli occhi mentre lui stava raccogliendo lo zaino.
“Abbi cura di te” le disse, accarezzandole il viso con la mano libera.
Due passi e si richiuse la porta alle spalle.
Lei si concentrò.
I meccanorecettori del trigemino erano attivi, il potenziale elettrico aveva proiettato al talamo, per raggiungere la corteccia somatosensoriale primaria. Era solo un processo di trasduzione, si disse.



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