domenica 12 ottobre 2014

PROVA di Sabrina Carollo

Le mani paffute cercano di afferrare il profilo dell’acqua. Sfuggevole, quella si ritrae, si disperde in mille rivoli, si allarga e si defila. E ancora le manine si allungano per toccarla, prima con tutte le dita aperte, poi solo con l’indice. Il piccolo invaso candido del lavandino si sta riempiendo lentamente. Gli occhi della bambina sono sgranati per la concentrazione mentre prova a penetrare la tensione superficiale e nota la resistenza iniziale dell’elemento ad accoglierla. Un attimo, mentre la sfiora. Poi ci tuffa tutto il palmo, spalancato, fino a toccare il fondo ancora freddo della ceramica. Una risata che è quasi un singhiozzo le zampilla dal fondo di quella minuscola gola, la voce assottigliata dal poco spazio a disposizione. Cristallina, come l’acqua che sta arrivando pericolosamente vicina al bordo.
La mano della mamma interviene provvidenziale a riavvitare la manopola che regola l’uscita dell’acqua calda.
“No!” esclama la vocetta. “Ancora!”
“Non c’è più spazio. Poi straripa”.
Una falange morbida si inoltra nel bacino e raggiunge i tre fori sotto la canna del rubinetto. Sono sommersi, l’acqua sta uscendo impercettibilmente da lì per riunirsi allo scarico, più sotto, e poi nei tubi, giù giù, fino al fiume. Fino al mare. Fino all’infinito.
La falange è delle dimensioni perfette per turare uno dei fori. Percepisce la pressione dell’acqua che vuole scendere. Ride di nuovo, la voce argentina.
“Lascia scorrere l’acqua. Altrimenti traboccherà dal lavandino al primo movimento brusco”
La falange si ritrae dal foro e tocca il tappo dello scarico. Avverte l’impercettibile rilievo di una minuscola incrostazione di calcare. Gli occhi si girano a cercare la conferma negli occhi della mamma.
Sorride. Va tutto bene.
Il palmo della manina si rigira nell’acqua. Ora è rivolto verso alto. Si fa microscopica conca. Riaffiora dal fondo lentamente, come un sottomarino circospetto. Mentre emerge, rigagnoli di acqua scivolano di lato, tra le dita, oltre il polso giù verso il gomito. Rimane ben poco nel piccolo palmo.
Ancora.
La conca grassottella ritenta di nuovo di contenere l’acqua, ma quella, ostinata, le sfugge via. Le dita si stringono a pugno, non rimane più nulla.
Di nuovo.
Stavolta con due mani, una accanto all’altra, per rendere più capiente il bacino. Ma le dita non stringono abbastanza, la pelle non trattiene. L’acqua, anche questa volta, ritorna giù, tutta nuovamente insieme.

Improvvisamente tuffa entrambe le mani, fino quasi ai gomiti, e appoggia solo due dita sul fondo. Quelle due dita cominciano a ballare una danza vorticosa e irregolare, e salgono e scendono e schizzano gocce e bagnano attorno. E ride e ride, di tutto e di niente.
Poi si ferma immobile, improvvisa, le mani ancora immerse. Osserva attenta, gli occhi di nuovo spalancati.
“Perché qui sul bordo l’acqua è rosa?”
“Sono le tue mani che la colorano. È un riflesso del colore della tua pelle”
“Un riflesso?”
“Si, come se ci fosse uno specchio”
Una fila di piccoli denti quadrati fanno capolino sotto le gengive rosse. Un sorriso negli occhi, quello di quando cogli la verità.
“Ho capito! È una magia!”

 

 

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