Finite
le consuete e dolorose formalità mediche Giovanna e Massimo decisero di
perdersi fra i colori del lungo viale. Si fermarono a vedere il pagliaccio sui
trampoli che fingeva di cadere addosso alla cerchia di bambini sorridenti e,
poco più avanti, due ballerini di Flamenco che segnavano il tempo con le
nacchere. Fu allora che Giovanna azzardò il tocco della mano di Massimo; lui sorprendentemente
rispose. La Rambla le si dipinse del
rosso del vestito dei ballerini, del giallo dei raggi di sole che si
specchiavano sulle pozze d’acqua, dell’azzurro del cielo finalmente limpido e
un sorriso le si disegnò sul viso.
Segni
che la stavano sempre più convincendo: quella volta sarebbe andata bene.
Era
iniziata l’attesa, Giovanna si toccava spesso la pancia e aveva sul viso un
sorriso che la accompagnava e la rendeva radiosa. “Amore ce la faremo?” le fece
mentre passeggiavano appoggiando la testa sulla spalla di Massimo.
“Non
dobbiamo pensarci. Ricordi quanto abbiamo sofferto le altre volte?”
“Ti
prego non essere così negativo.” Iniziò a sganciarsi dall’abbraccio. “Perché mi
devi sempre smontare ? Lo so anche io che non è facile, ma ti prego fammelo
vivere come un sogno. Io ci VOGLIO credere. Perché ne ho bisogno, perché mi fa
sentire bene e se mai dovesse andare male quanto meno ho vissuto una settimana
unica. Ti prego Massimo.” E si fermò su una panchina a piangere.
“Dai
Giovanna, guarda ti ho fatto un regalino”
Massimo si piegò sulle ginocchia
davanti a lei e dalla tasca le
porse un pacchetto che aprì avidamente. Erano due biglietti di tribuna per Real
Madrid Barcellona della sera. “Lo so che non devi avere traumi, ma c’è
l’ascensore, siamo al coperto, lo stadio è a 300 mt dall’albergo e ci andiamo
in taxi.”
Giovanna
non capiva. Iniziò a guardare nel vuoto come a cercare una risposta o un segno.
Adesso intuì dove andava nei lunghi pomeriggi in cui lei rimaneva a letto col
ghiaccio sopra il ventre. Si lasciò vincere dall’espressione raggiante di
Massimo. Non poteva essere per la partita, lui non era mai stato espansivo;
quei biglietti erano una scusa per poter mostrarle la felicità che aveva nel
cuore.
Doveva
essere per forza così.
“Aspettami
qui, entro un secondo in farmacia. Dopo, andiamo al mercato della Bouqueria ?
Compriamo un po’ di frutta che mi fa bene.”
“Dai
così, mentre sei dentro chiamo Parigi” le rispose Massimo. La telefonata alla
Direzione di Parigi per comunicare i dati delle vendite Italia, si rivelò più
lunga del previsto. A quella, poi, se ne aggiunse un’altra. E un’altra. E
un’altra ancora. Giravano tra le bancarelle della Bouqueria come due estranei
di cui uno urlante al cellulare. Giovanna
si avvicinava ai banchi sperando che l’odore ficcante del pesce o la
vista dei tranci di carne le provocassero nausea: chiaro segnale del buon esito
del viaggio. Invece con Massimo che
urlava da un lato e i venditori dall’altro, iniziò ad irritarsi e fu presa da
un senso di smarrimento finché, portata dalla fiumana di gente che affollava il
mercato, si perse. Ripercorse i propri passi ma vide solo visi allegri, turisti
con le macchine fotografiche e un diffuso puzzo di sudore. Fu allora che senti
sfilare di mano la busta che aveva comprato in farmacia. Iniziò a strillare e
la gente le fece cerchio attorno. Si sentiva osservata e tutto quello che aveva
tenuto dentro in quegli anni esplose con la furia di un maremoto: “Cosa avete
da guardare? Pensate che non trovi mio figlio ? No, perché non ce l’ho, io, un
figlio! Le conosco le vostre
espressioni, la Vostra finta commiserazione! La vostra falsa invidia per il
tempo libero che ho, le vostre chiacchiere alle spalle. Io vi ho visti venire a
chiedermi in ufficio i libretti azzurri col fiocco per fare gli esami appena
scoprite di essere incinta. E’ per gente come voi che sono costretta a venire
qui! Vi odio vi odiooooooo!” e si accasciò in ginocchio singhiozzando con la
faccia coperta dalle mani mentre la folla di turisti riprese il suo fluire con
l’incertezza se quella scena fosse vera o solo uno dei mille spettacoli che
affollavano la Rambla.
Mentre
Giovanna si rialzava, scorse Massimo. Al telefono.
Con
gli occhi rossi si avventò su di lui “Ma dove cazzo eri?” L’espressione stupita
di Massimo la irritò ancora di più. ”dove cazzo sei stato ? Mi hai lasciata da
sola in mezzo a tutta quella gente. Mi hanno anche rubato la busta della
farmacia”
“Dai
Giovi calma!” Massimo si affrettò a spegnere il telefono e iniziò ad
indietreggiare.
“Lo
sai cosa avevo comprato in farmacia ?” come non avesse sentito l’esortazione
“Un biberon, perché volevo che nostro figlio crescesse con qualcosa di questa
terra.”
“Mi
pare almeno prematuro Giovanna” Era la goccia. Quella che fa traboccare i vasi.
Massimo per uscirne indenne avrebbe dovuto tacere e, al limite, ascoltare.
“Prematuro,
solo questo sai dire” iniziando a parlare con quel tono basso di voce che
nasconde la potenza delle esplosioni.
“Tu,
tu non ci credi. Dillo. Non ci hai mai creduto. Sei venuto con me per farmi
stare zitta e permetterti di continuare a vivere col tuo cazzo di lavoro. Hai
solo questo: il tuo cazzo di lavoro. Non hai pensato neanche per un secondo che
potesse andare bene. Il tuo problema qui era avere la linea al cellulare e trovare
i biglietti per lo stadio. Come ho fatto a non capirlo.” Giovanna si era seduta
su una panchina fuori dal mercato col viso nascosto tra le mani. “Come ho fatto
ad essere così stupida. Vai via Massimo ti prego, voglio stare sola.” Iniziò a
piangere silenziosamente.
“Dai
smettila, lo capisco gli ormoni presi, lo scippo, sei un po’ su di giri ma non
ti posso lasciare sola a Barcellona.”
“E’
da quando siamo arrivati che sono sola, ma non me ne ero accorta. Ti prego se
non vuoi che inizi ad urlare e chiami la polizia vai via. Vai a vedere la
partita e lasciami stare.”
Giovanna rimase fino all’imbrunire sulla panchina
sotto la colonna di Cristoforo Colombo . Sarebbe voluta scappare, ma adesso aveva quell’idea di vita dentro di
sé e guardava il dito del navigatore genovese che indicava l'orizzonte,
sperando le mostrasse la strada da seguire.
Tornò
da sola all’albergo e si ritrovò in mezzo a centinaia di tifosi con le sciarpe
rosse e blu in una festa che non la riguardava. Per lei la festa stava finendo
prima di iniziare.
Massimo
non capiva. Tornò all’albergo e guardando il biglietto pensò che in fin dei
conti già aveva speso 5000 euro senza
fiatare per un progetto molto aleatorio, buttarne via altri 320 sarebbe stato
da arresto. Forse, poi , lasciandola sola, Giovanna avrebbe capito. Avrebbe capito che all’inizio
anche lui voleva un figlio più di ogni cosa. Ma aveva versato più lacrime di
quelle che pensava di avere ad ogni dolore di Giovanna che preannunciava il ciclo mestruale ed era
stanco di soffire ogni volta che gli veniva comunicato di una commessa incinta
o che qualche venditore cercava in lui complicità citando i propri “tesori”.
Era stanco e adesso voleva vivere.
Perché
Giovanna non capiva che lo si poteva
fare anche senza figli, che avevano trovato il loro equilibrio, stavano bene
insieme e la vita forse aveva altri progetti per loro ? Non voleva più
soffrire.
Si
vestì e andò allo stadio.
Giovanna vide che non c’era il giubbotto né il pacco
coi biglietti. Dentro di sé sperava di trovare Massimo. Si accasciò sul letto:
“Massimo perchè non capisci” esordì piangendo e parlando alla stanza vuota:
“Perchè non capisci che sono nata madre fin da bambina. Che non mi
interessavano i viaggi, i soldi spesi, le cure devastanti perché io sono madre.
Senza figli. E ti giuro Massimo, non
sono egoista, ma ho dentro di me talmente tanto
amore che non riesco più a conservare. Perché non ha senso vivere senza
avere un motivo, una possibilità di lasciare
noi stessi oltre i confini del tempo, di avere un riparo dal futuro” e
riprese a piangere sul cuscino come faceva da bambina.
Passato
un quarto d’ora, si alzò, prese la valigia, lasciò la stanza e decise di
trasferirsi nell’ostello che il centro medico metteva a disposizione per i
pazienti.
Massimo
era in tribuna. Mentre cercava di telefonare in ufficio si senti la manica
bagnata. “Pèrdon, no queria”. Il bambino accanto a lui nell’aprire la lattina
lo aveva schizzato. Iniziò ad osservare la complicità di quel padre col figlio,
le maglie del Barcellona che indossavano con lo stesso 10 di Messi, gli
abbracci al goal. E le risate: di gusto, rumorose. Quelle che lui aveva smesso
di fare. Forse era quella la soluzione. Il trucco per superare le ansie, il
modo che la vita ha dato per assegnare le giuste priorità, la strada per
conquistare la felicità, quella vera. Forse venire allo stadio aveva avuto il
suo perché. Forse.
Giovanna bevve una tazza di latte da sola nel
refettorio dell’ostello. Sentì parlare italiano e si girò. Una coppia, poco più
giovane. Erano abbracciati. Sorridenti. Parlavano di cosa avrebbero fatto una
volta genitori. Del nome da dare al figlio. Sognavano. Ma allora forse era
permesso ? Forse lo stare insieme non era solo una condivisione di ansie, un
modo per affrontare le difficoltà, una compagnia reciproca nei viaggi. Forse è
anche progettare, lasciare perdere la razionalità per tendere all’infinito.
Forse si sta in coppia per unire le ali e volare più in alto. Forse.
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