domenica 12 ottobre 2014

IL LIBRETTO COL FIOCCO di Fabio Langellotti

Quel pomeriggio il sole bucava le foglie degli alberi illuminando la Rambla.

Finite le consuete e dolorose formalità mediche Giovanna e Massimo decisero di perdersi fra i colori del lungo viale. Si fermarono a vedere il pagliaccio sui trampoli che fingeva di cadere addosso alla cerchia di bambini sorridenti e, poco più avanti, due ballerini di Flamenco che segnavano il tempo con le nacchere. Fu allora che Giovanna azzardò il tocco della mano di Massimo; lui sorprendentemente rispose. La Rambla le  si dipinse del rosso del vestito dei ballerini, del giallo dei raggi di sole che si specchiavano sulle pozze d’acqua, dell’azzurro del cielo finalmente limpido e un sorriso le si disegnò sul viso. 

Segni che la stavano sempre più convincendo: quella volta sarebbe andata bene.

Era iniziata l’attesa, Giovanna si toccava spesso la pancia e aveva sul viso un sorriso che la accompagnava e la rendeva radiosa. “Amore ce la faremo?” le fece mentre passeggiavano appoggiando la testa sulla spalla di Massimo. 

“Non dobbiamo pensarci. Ricordi quanto abbiamo sofferto le altre volte?”

“Ti prego non essere così negativo.” Iniziò a sganciarsi dall’abbraccio. “Perché mi devi sempre smontare ? Lo so anche io che non è facile, ma ti prego fammelo vivere come un sogno. Io ci VOGLIO credere. Perché ne ho bisogno, perché mi fa sentire bene e se mai dovesse andare male quanto meno ho vissuto una settimana unica. Ti prego Massimo.” E si fermò su una panchina a piangere.

“Dai Giovanna, guarda ti ho fatto un regalino”  Massimo si piegò sulle ginocchia  davanti a lei  e dalla tasca le porse un pacchetto che aprì avidamente. Erano due biglietti di tribuna per Real Madrid Barcellona della sera. “Lo so che non devi avere traumi, ma c’è l’ascensore, siamo al coperto, lo stadio è a 300 mt dall’albergo e ci andiamo in taxi.”

Giovanna non capiva. Iniziò a guardare nel vuoto come a cercare una risposta o un segno. Adesso intuì dove andava nei lunghi pomeriggi in cui lei rimaneva a letto col ghiaccio sopra il ventre. Si lasciò vincere dall’espressione raggiante di Massimo. Non poteva essere per la partita, lui non era mai stato espansivo; quei biglietti erano una scusa per poter mostrarle la felicità che aveva nel cuore.

Doveva essere per forza così.

 

“Aspettami qui, entro un secondo in farmacia. Dopo, andiamo al mercato della Bouqueria ? Compriamo un po’ di frutta che mi fa bene.”

“Dai così, mentre sei dentro chiamo Parigi” le rispose Massimo. La telefonata alla Direzione di Parigi per comunicare i dati delle vendite Italia, si rivelò più lunga del previsto. A quella, poi, se ne aggiunse un’altra. E un’altra. E un’altra ancora. Giravano tra le bancarelle della Bouqueria come due estranei di cui uno urlante al cellulare. Giovanna  si avvicinava ai banchi sperando che l’odore ficcante del pesce o la vista dei tranci di carne le provocassero nausea: chiaro segnale del buon esito del viaggio. Invece con  Massimo che urlava da un lato e i venditori dall’altro, iniziò ad irritarsi e fu presa da un senso di smarrimento finché, portata dalla fiumana di gente che affollava il mercato, si perse. Ripercorse i propri passi ma vide solo visi allegri, turisti con le macchine fotografiche e un diffuso puzzo di sudore. Fu allora che senti sfilare di mano la busta che aveva comprato in farmacia. Iniziò a strillare e la gente le fece cerchio attorno. Si sentiva osservata e tutto quello che aveva tenuto dentro in quegli anni esplose con la furia di un maremoto: “Cosa avete da guardare? Pensate che non trovi mio figlio ? No, perché non ce l’ho, io, un figlio! Le  conosco le vostre espressioni, la Vostra finta commiserazione! La vostra falsa invidia per il tempo libero che ho, le vostre chiacchiere alle spalle. Io vi ho visti venire a chiedermi in ufficio i libretti azzurri col fiocco per fare gli esami appena scoprite di essere incinta. E’ per gente come voi che sono costretta a venire qui! Vi odio vi odiooooooo!” e si accasciò in ginocchio singhiozzando con la faccia coperta dalle mani mentre la folla di turisti riprese il suo fluire con l’incertezza se quella scena fosse vera o solo uno dei mille spettacoli che affollavano la Rambla.

Mentre Giovanna si rialzava, scorse Massimo. Al telefono.

Con gli occhi rossi si avventò su di lui “Ma dove cazzo eri?” L’espressione stupita di Massimo la irritò ancora di più. ”dove cazzo sei stato ? Mi hai lasciata da sola in mezzo a tutta quella gente. Mi hanno anche rubato la busta della farmacia”

“Dai Giovi calma!” Massimo si affrettò a spegnere il telefono e iniziò ad indietreggiare.

“Lo sai cosa avevo comprato in farmacia ?” come non avesse sentito l’esortazione “Un biberon, perché volevo che nostro figlio crescesse con qualcosa di questa terra.”

“Mi pare almeno prematuro Giovanna” Era la goccia. Quella che fa traboccare i vasi. Massimo per uscirne indenne avrebbe dovuto tacere e, al limite, ascoltare.

“Prematuro, solo questo sai dire” iniziando a parlare con quel tono basso di voce che nasconde la potenza delle esplosioni.

“Tu, tu non ci credi. Dillo. Non ci hai mai creduto. Sei venuto con me per farmi stare zitta e permetterti di continuare a vivere col tuo cazzo di lavoro. Hai solo questo: il tuo cazzo di lavoro. Non hai pensato neanche per un secondo che potesse andare bene. Il tuo problema qui era avere la linea al cellulare e trovare i biglietti per lo stadio. Come ho fatto a non capirlo.” Giovanna si era seduta su una panchina fuori dal mercato col viso nascosto tra le mani. “Come ho fatto ad essere così stupida. Vai via Massimo ti prego, voglio stare sola.” Iniziò a piangere silenziosamente.

“Dai smettila, lo capisco gli ormoni presi, lo scippo, sei un po’ su di giri ma non ti posso lasciare sola a Barcellona.”

“E’ da quando siamo arrivati che sono sola, ma non me ne ero accorta. Ti prego se non vuoi che inizi ad urlare e chiami la polizia vai via. Vai a vedere la partita e lasciami stare.”

Giovanna  rimase fino all’imbrunire sulla panchina sotto la colonna di Cristoforo Colombo . Sarebbe voluta scappare,  ma adesso aveva quell’idea di vita dentro di sé e guardava il dito del navigatore genovese che indicava l'orizzonte, sperando le mostrasse la strada da seguire.

Tornò da sola all’albergo e si ritrovò in mezzo a centinaia di tifosi con le sciarpe rosse e blu in una festa che non la riguardava. Per lei la festa stava finendo prima di iniziare.

Massimo non capiva. Tornò all’albergo e guardando il biglietto pensò che in fin dei conti già aveva speso 5000 euro  senza fiatare per un progetto molto aleatorio, buttarne via altri 320 sarebbe stato da arresto. Forse, poi , lasciandola sola, Giovanna  avrebbe capito. Avrebbe capito che all’inizio anche lui voleva un figlio più di ogni cosa. Ma aveva versato più lacrime di quelle che pensava di avere ad ogni dolore di Giovanna  che preannunciava il ciclo mestruale ed era stanco di soffire ogni volta che gli veniva comunicato di una commessa incinta o che qualche venditore cercava in lui complicità citando i propri “tesori”. Era stanco e adesso voleva vivere.

Perché Giovanna  non capiva che lo si poteva fare anche senza figli, che avevano trovato il loro equilibrio, stavano bene insieme e la vita forse aveva altri progetti per loro ? Non voleva più soffrire.

Si vestì e andò allo stadio.

Giovanna  vide che non c’era il giubbotto né il pacco coi biglietti. Dentro di sé sperava di trovare Massimo. Si accasciò sul letto: “Massimo perchè non capisci” esordì piangendo e parlando alla stanza vuota: “Perchè non capisci che sono nata madre fin da bambina. Che non mi interessavano i viaggi, i soldi spesi, le cure devastanti perché io sono madre. Senza figli. E ti giuro  Massimo, non sono egoista, ma ho dentro di me talmente tanto  amore che non riesco più a conservare. Perché non ha senso vivere senza avere un motivo, una possibilità di lasciare  noi stessi oltre i confini del tempo, di avere un riparo dal futuro” e riprese a piangere sul cuscino come faceva da bambina.

Passato un quarto d’ora, si alzò, prese la valigia, lasciò la stanza e decise di trasferirsi nell’ostello che il centro medico metteva a disposizione per i pazienti.

Massimo era in tribuna. Mentre cercava di telefonare in ufficio si senti la manica bagnata. “Pèrdon, no queria”. Il bambino accanto a lui nell’aprire la lattina lo aveva schizzato. Iniziò ad osservare la complicità di quel padre col figlio, le maglie del Barcellona che indossavano con lo stesso 10 di Messi, gli abbracci al goal. E le risate: di gusto, rumorose. Quelle che lui aveva smesso di fare. Forse era quella la soluzione. Il trucco per superare le ansie, il modo che la vita ha dato per assegnare le giuste priorità, la strada per conquistare la felicità, quella vera. Forse venire allo stadio aveva avuto il suo perché. Forse.

Giovanna  bevve una tazza di latte da sola nel refettorio dell’ostello. Sentì parlare italiano e si girò. Una coppia, poco più giovane. Erano abbracciati. Sorridenti. Parlavano di cosa avrebbero fatto una volta genitori. Del nome da dare al figlio. Sognavano. Ma allora forse era permesso ? Forse lo stare insieme non era solo una condivisione di ansie, un modo per affrontare le difficoltà, una compagnia reciproca nei viaggi. Forse è anche progettare, lasciare perdere la razionalità per tendere all’infinito. Forse si sta in coppia per unire le ali e volare più in alto. Forse.

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