domenica 11 maggio 2014

UNA CANZONE NECESSARIA di Francesco Mancini

“Stiamo calmi“ disse Mauro.
“Sono calmissimo“ rispose Franco.
“No, non lo sei, ti conosco bene. Lo vedo dagli occhi“ rimbeccò Mauro, e si accese una sigaretta.
“Perché, te sei calmo?“
“Tirato come un arco.“
“Vedi? “
Stavano andando quasi a passo d'uomo, nella coda usuale del viale al mattino. Tanto non era il momento di fuggire, quello. Per ora, dovevano semplicemente andare vicino alla banca, parcheggiare l'auto su cui stavano (rubata, va da se), prendere gli attrezzi del mestiere, eseguire la rapina, uscire dalla banca dove Fulvio -il terzo complice- li avrebbe presi in volata...
Franco cominciò a clacsonare.
“Ma sei diventato scemo? “sbraitò Mauro “Che lo suoni a fare il clacson? Non lo vedi che fila? Vuoi che ci fermi la pula?”
“E' vero, e' vero, sono agitato!” ammise Franco, e si accese una sigaretta anche lui. Gli tremavano le mani.
 “Franco bello” disse Mauro cercando di rimanere compassato” che ti prende? E' una rapa. Ne abbiamo fatte altre.... sembri un ragazzino delle elementari che deve rubare una bicicletta!“
“Non è per la rapina che sono nervoso...“
“E per che cosa, allora?“
“Per la canzone.“
“La canzone? “
“Io sono superstizioso, lo sai. “
“Lo so, e allora? “
“Prima di far le rapine, la mattina quando esco di casa, canto un pezzo di una canzone, un pezzo parlato di una canzone di Renato Zero, credo si chiami ‘La tua idea’ o ‘La mia idea’, la cantava sempre mio papà, è c'è un pezzo parlato a un certo punto che mi piaceva tanto.“
“Mi commuove la tua sensibilità, ma non afferro il problema.“
“E' una cosa scaramantica, è il mio portafortuna, capisci? Faccio quel pezzo parlato e mi sento tranquillo, so che la rapa andrà bene. Ma stamattina ho avuto un amnesia, un lapsus. Non ricordo il finale del pezzo. Comincia così: tu non devi smettere di giocare agli indiani! Il tuo destino non è nella ruota, ma nelle tue mani! Per questo credimi... e non mi ricordo più niente. Te? la ricordi, per caso? “
“Io ascolto solo rap. E mio padre ascoltava solo Celentano. Senti, non cominciamo a sclerare. Se non ti ricordi le parole fa niente, noi siamo dei professionisti, la rapina andrà come deve andare.“
“Lo dici te.“
“Lo dico io, si, sono io quello col cervello a posto, in questo momento! Le parole di una canzone! Ti rendi conto? Ho un partner da clinica psichiatrica.“
“Vedrai se non ho ragione...“
Due secondi dopo, passamontagna e pistole, Franco e Mauro camminavano come bulldozer verso la meta, ma Franco sudava come una fontana, aveva gli occhi sbarrati. All'unisono, con due spranghe, ruppero la vetrina della banca.
“Fermi tutti, questa è una rapina!” sbraitò Mario puntando la pistola, mentre gli attraversò il pensiero che magari una volta tanto si poteva cambiare, questa battuta d'inizio.
“Tutti a terra, mani contro la nuca!” sentenziò Franco un nanosecondo dopo. Ma con voce leggermente atona.
Tutti gli astanti si sdraiarono a terra, chi urlando, chi implorando pietà, chi denunciando il fatto di soffrire di cuore. Gli impiegati della banca erano fermi come statue, ma grondavano come ghiaccioli d'agosto. A quel punto, il copione prevedeva che mentre Mauro teneva tutti buoni, Franco si facesse accompagnare dal direttore dove stava la grana, prenderne il più possibile nel più breve tempo possibile.
Invece Franco puntò la pistola in faccia a un commesso e urlò: “Chi conosce le canzoni di Renato Zero?”
Ci fu un silenzio da assenza di gravità.
“Chi conosce le canzoni di Renato Zero?” ripeté Franco urlando il doppio. Mauro era talmente sorpreso che guardava il compare come ipnotizzato.
“Se non viene fuori un sorcino da questa stanza, sparo!”
“A.. avanti, un sorcino, un sorcino!” rantolava piano il commesso.
Una signora sulla sessantina con un vestitino a fiori e un ciuffo viola, balbettò: “Io ero... una grande fan di Renato... non sparate, vi prego....“
“No, signora, non si preoccupi. Si ricorda una canzone intitolata ‘la mia idea’, o ‘la tua idea’?“
“Come no... il titolo esatto è: ‘la tua idea’.
“Grazie signora. Me la canti.“
Mauro riuscì a sbraitare: “dico, ma sei fuori di cotenna?- mentre puntava la pistola a destra e a sinistra come un cane idrofobo.“
La signora cominciò a miagolare: “sono stonata...“
“Le sembra il caso di fare storie?” le intimò un signore sulla cinquantina. “E canti!”
“No, no, mi correggo, non deve cantare” disse con calma Franco “deve solo suggerirmi la parte recitata, quella che fa così: tu non devi smettere di giocare agli indiani! Il tuo destino non è nella ruota, ma nelle tue mani! Per questo credimi... e non me la ricordo più! Continui lei. O sparo.”
“Su, continui” biascicò il commesso, sostenuto anche dagli altri
La signora si schiarì la voce e disse: “Per questo, credimi, è meglio fingersi acrobati, che sentirsi dei nani.”
“Ecco!” urlò Franco ”Era la cosa dei nani!” cominciò a saltellare, per l'euforia si tolse pure il passamontagna.
Suonarono delle sirene.


Nessun commento:

Posta un commento