Infilo la monetina scura e macchiata in quel vecchio jukebox, e aspetto
che la mia canzone finalmente cominci. Sono stufa di stropicciarmi i capelli la
mattina, vedere il segno sotto gli occhi che diventa più pesante. Così stanca
di allargare il mio sorriso da bambina, certa di non perdere la mia innocenza,
con la paura di vedermi sbiadita.
Metto la moneta, e sento il suono sordo del metallo che scende falso
lungo la fessura, e torna indietro, rifiutato. Con la saliva avvolge la mia
lingua, bloccando la gola, provo di nuovo, ferendomi le dita nell’ansia di
raccogliere il gettone. Voglio cacciarlo di nuovo dentro quella macchina della
musica che non si decide a cantare la mia canzone “Eh, no, adesso entri. Voglio
sentire la mia canzone, e voglio ballare, Cristo Onnipotente, ballare fino a
che i muscoli dei polpacci si gonfiano e i talloni diventano di piombo. Voglio
spogliarmi e sentire il sudore che fa dei miei vestiti carta straccia, e
ascoltare il frastuono della musica che spazza via quella ragnatela di pensieri
stopposi che m’intasa il cervello da troppo tempo. La moneta questa volta
scivola, ma il marchingegno non parte. “Eccola, la fregatura”mi dico
specchiandomi nel lastra trasparente che mostra i titoli dei dischi. Cerco di
scorgere un lampo nel mio sguardo, che prima ero sicura ci fosse e adesso temo
sia svanito rubato dalle ombre nella mia testa “Voglio sentire la mia canzone,
voglio la mia Nosen Lawen! Dammi la mia canzone, è mia, restituiscila!” La mia
serata divertente, il mio giro di giostra. Ho lavorato sino a far scricchiolare
la mia schiena, e cosa ho ottenuto in cambio? Una moneta falsa, che non fa
suonare la macchina della musica?! Sferro un calcio al jukebox, il mio stivale
sfilacciato luccica sinistro contro il metallo del marchingegno. Un pugno, poi
un altro, fino a che la moneta non scende di nuovo lungo il canale, e spunta
poi dalla fessura. L’afferro con la mia mano sinistra, sento la superficie
ruvida e unta sui miei polpastrelli, la infilo di nuovo nella tasca cucita sui miei
pantaloni stretti di tela. Sorrido, sputo, mi concentro sullo scintillio dei
miei denti riflessi nel vetro del jukebox.
Tornerò, domani sera, e proverò di nuovo a far suonare la mia canzone.
Ho ancora tanti calci da dare, tanti vestiti da strappare ballando, ho ancora
molta voglia di sfondare le scarpe contro il jukebox, finché non si deciderà e
restituirmi la mia canzone. “E’ mia, Cristo Onnipotente, e la farò
suonare!”
Nessun commento:
Posta un commento