domenica 11 maggio 2014

LA MONETA di Monica Capomonte

Infilo la monetina scura e macchiata in quel vecchio jukebox, e aspetto che la mia canzone finalmente cominci. Sono stufa di stropicciarmi i capelli la mattina, vedere il segno sotto gli occhi che diventa più pesante. Così stanca di allargare il mio sorriso da bambina, certa di non perdere la mia innocenza, con la paura di vedermi sbiadita.
Metto la moneta, e sento il suono sordo del metallo che scende falso lungo la fessura, e torna indietro, rifiutato. Con la saliva avvolge la mia lingua, bloccando la gola, provo di nuovo, ferendomi le dita nell’ansia di raccogliere il gettone. Voglio cacciarlo di nuovo dentro quella macchina della musica che non si decide a cantare la mia canzone “Eh, no, adesso entri. Voglio sentire la mia canzone, e voglio ballare, Cristo Onnipotente, ballare fino a che i muscoli dei polpacci si gonfiano e i talloni diventano di piombo. Voglio spogliarmi e sentire il sudore che fa dei miei vestiti carta straccia, e ascoltare il frastuono della musica che spazza via quella ragnatela di pensieri stopposi che m’intasa il cervello da troppo tempo. La moneta questa volta scivola, ma il marchingegno non parte. “Eccola, la fregatura”mi dico specchiandomi nel lastra trasparente che mostra i titoli dei dischi. Cerco di scorgere un lampo nel mio sguardo, che prima ero sicura ci fosse e adesso temo sia svanito rubato dalle ombre nella mia testa “Voglio sentire la mia canzone, voglio la mia Nosen Lawen! Dammi la mia canzone, è mia, restituiscila!” La mia serata divertente, il mio giro di giostra. Ho lavorato sino a far scricchiolare la mia schiena, e cosa ho ottenuto in cambio? Una moneta falsa, che non fa suonare la macchina della musica?! Sferro un calcio al jukebox, il mio stivale sfilacciato luccica sinistro contro il metallo del marchingegno. Un pugno, poi un altro, fino a che la moneta non scende di nuovo lungo il canale, e spunta poi dalla fessura. L’afferro con la mia mano sinistra, sento la superficie ruvida e unta sui miei polpastrelli, la infilo di nuovo nella tasca cucita sui miei pantaloni stretti di tela. Sorrido, sputo, mi concentro sullo scintillio dei miei denti riflessi nel vetro del jukebox.

Tornerò, domani sera, e proverò di nuovo a far suonare la mia canzone. Ho ancora tanti calci da dare, tanti vestiti da strappare ballando, ho ancora molta voglia di sfondare le scarpe contro il jukebox, finché non si deciderà e restituirmi  la mia canzone. “E’ mia, Cristo Onnipotente, e la farò suonare!” 

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