domenica 11 maggio 2014

26 SETTEMBRE di Fabio Langellotti

Fu la mattina del 26 settembre, Andrea se lo ricordava bene.
Svegliandosi  si rese conto di averla persa. Poteva apparire incredibile perché solo fino alla sera prima era una presenza ben chiara nella sua mente ma, una volta aperti gli occhi, si accorse di non riuscire più a trovarla. Non servì a niente il caffè -mai profumato ed energico come quella mattina- né la brioche che Sara gli aveva scaldato prima di uscire, a fargli tornare in mente dove potesse essere. Andrea aveva 38 anni, e dall'età di 11 anni non se ne era mai separato.

"Ciao io mi chiamo Simone e te?” si presentò col pallone sotto braccio e una maglia di lana viola.
"Andrea.” Gli rispose l’altro bambino col cappotto di lana e i pantaloni corti di velluto,  con un filo di voce.
 “Per che squadra tifi?" lo incalzò Simone.
"Per la Viola " Andrea cercava con gli occhi la mamma che lo portasse via da quella situazione.
"Io per Antognoni. Si gioca che io sono lui e te sei Danielbertoni ?..." andando con i piedi a segnare le linee che avrebbero limitato il campo.
"Veramente Antognoni lo volevo fare io” provò timidamente a rispondergli Andrea. Simone lo guardò e decise che lui sarebbe stato Antognoni prima dell'incidente e Andrea dopo.
Fu così, nel giardino di Via Baracca, che si conobbero.

Quella mattina erano fissati tre interventi di protesi al ginocchio e due ricostruzioni di legamenti. Ma Andrea era stato rapito da quella ossessione: il pensiero di averla persa non gli avrebbe permesso di operare con precisione  e con la mente così lontana poteva risultare molto, troppo pericoloso. Telefonò così alla segretaria: " Michela, annulli gli interventi previsti per oggi: ho 39,2 di febbre". Il dettaglio  avrebbe dovuto rendere credibile la menzogna. "Professore" rispose con serafica indolenza la segretaria "pensa di riuscire a guarire per domani, o la sua indisposizione durerà tutta la settimana?". Il modo con cui venne sillabato "indisposizione" era un chiaro segno di come fosse stato scoperto e che non era il caso di continuare la farsa. "No Michela, può confermare gli interventi di domani". Una volta si sarebbe roso dal rimorso e dalla vergogna.

“Entriamo dentro ?” disse Simone ad Andrea indicando il vecchio edificio abbandonato dove prima c’era un supermercato.
“ Dai Simone ma non si può” rispose Andrea guardandosi attorno.
“Che palle io entro, se non sei un coniglio mi segui.” E iniziò a scavalcare il cancello fatiscente, per arrivare a passare attraverso quelle che una volta erano le porte d’ingresso e adesso solo un ammasso di vetri. Andrea invece si era girato dandogli le spalle come per tornare a casa. Poi pensò che gli amici lo prendevano ancora in giro per quella volta che prese una pallonata in piena faccia e la mamma lo portò all’ospedale. Riprese così la strada dell’edificio con la testa bassa, gli occhi semichiusi e il cuore a mille e iniziò quindi anche lui l’ascesa al cancello. Mentre faceva passare la seconda gamba dall’altra parte rimase impigliato a una delle punte con i jeans, stracciandoli. Si affacciò alla mente il viso della madre una volta che li avesse visti  e battè un pugno in terra per essersi lasciato trascinare in quella follia.
“Ah sei venuto anche te ? Allora non sei un cacasotto. Ero già pronto a cantarti scappa coniglio bianconero!”. Simone lo stava aspettando non sarebbe mai entrato da solo. 
Dentro l’aspetto era spettrale; agli scaffali vuoti si alternavano segni delle visite di tossici, barboni e piccioni vari. La puzza era insopportabile.
“Oh Andre, zitto.“ Simone gli prese il braccio mentre fingeva di ascoltare le sue lamentele. In quello che una volta era il reparto forno sentirono un sinistro scricchiolio.
 “Forse sarebbe il caso di andare via, dai siamo entrati, la bischerata l’abbiamo fatti ormai” apostrofò Andrea.
“Arriviamo fino alla parete in fondo e torniamo indietro.” Indicò Simone.
“Ma è buio non si vede una mazza” con la mano sopra gli occhi strizzati.
“E’ quello il bello!” Superarono l’ennesimo corridoio e videro sullo sfondo l’ombra di un mostro. Tale pareva essere quel topo illuminato dal lampione sulla strada.
Andrea guardò Simone.
Simone guardò Andrea e gridò “Scappiamoooooo”
Corsero con tutta la forza che avevano schiacciando i vetri, incuranti del fatto che tagliassero le suola delle espadrillas e scavalcarono il cancello in secondi più che minuti.
il cuore ad entrambi batteva come la batteria dei Kiss ma seduti appoggiati al muro che circondava il supermercato, Andrea e Simone ridevano come due cretini, uno dei quali coi pantaloni strappati. Erano diventati grandi.

Andrea era salito in soffitta e all’improvviso si ritrovò ad avere venti anni.
Aveva conservato tutto.
I quaderni degli appunti di anatomia.
I diari delle superiori con i risultati della Fiorentina e i disegni delle moto più potenti.
Le foto: delle gite delle medie, della comunione, delle prime vacanze.
Infine le cassette. Metallica, Iron Maiden memoria del tempo in cui si dichiarava metallaro, quindi U2 e Queen.
In tutte quelle tracce di passato c’era ovunque il segno della presenza di Simone. Ma, pur aprendo ogni scaffale, ogni zaino , ogni sportello  non trovò niente che lo potesse aiutare. Ormai sembrava irreversibile: l’aveva persa definitivamente.
“Discreta la moretta?”
“Si, ma lei va con quelli dell’università, a noi di quinta non ci considera nemmeno” rispose Andrea mangiandosi le pellicine attorno alle unghie.
“No la Sara non è come le altre. “ rispose Simone con nonchalance girato dalla parte opposta.
“Sara?” gli fece eco Andrea con la faccia a forma di punto interrogativo.
“Certo. Ascolta, ora vo da lei e le chiedo di fare un’uscita a quattro. Perché io mi devo fare assolutamente la sua amica, la Barbara”.  Simone aveva un ‘espressione troppo determinata, per stare scherzando.
 “Simone non fare cazzate, ma come fai a sapere tutte queste cose?”
“Ciccio mentre te studi, io mi informo.” Partì con  la chioma di capelli ormai all’altezza delle spalle vestito dell’inseparabile chiodo verso il gruppo di ragazze. Non era tanto la figura di merda che avrebbe fatto Simone –nella vita aveva comunque preso meno due di picche di quelli che avrebbe meritato- quanto che stavolta aveva messo in mezzo anche lui.
Andrea era pietrificato, perché Sara le piaceva davvero tanto e vedendo quel chiodo di pelle in mezzo a quelle camicette colorate con le golette, sarebbe voluto scappare a chilometri di distanza. “Vestiti a modino” tornò Simone trionfante “domani pomeriggio a casa mia si fa matematica per prepararci all’esame. Andrea senti che ti dico: te quella figliola te la sposi”.

All’improvviso Andrea venne folgorato: la video cassetta del matrimonio. Li doveva esserci per forza. Si ma dove l’avrebbe vista ? Sarebbe potuto andare su Ebay e comprare a qualsiasi prezzo un vecchio videoregistratore, ma ci sarebbe voluto troppo.
Perché Sara nell’ultima pulizia di Primavera l’aveva buttato via ? Lo sapeva perfettamente che prima o poi sarebbe servito. E non le poteva neanche rimproverare niente perché prima di portarlo alla Quadrifoglio aveva  chiesto più volte se avesse riversate tutte le videocassette su Dvd. Se fosse venuta a conoscenza che mancava proprio quella del matrimonio, non ci sarebbe stato consulente matrimoniale che lo avrebbe salvato dal divorzio. Decise di andare dall’amico fotografo, lui avrebbe trasformato il Vhs in Dvd, costasse quel che costasse.

“Dai Andrea sei bellissimo … ma sei sicuro ?” gli fece Simone mentre fingeva di mettere a posto la cravatta 
“Simone me lo dicesti te in quinta superiore che l’avrei sposata.” Lo guardava e rideva dentro. Con quel vestito addosso era più ridicolo che elegante.
“Si ma adesso come faccio ? Eravamo la coppia, quelli che trombavano”
“No Simone, te trombavi, io rimanevo a parlare con l’amica-cesso”
 “E’ vero. Come sto ?” Simone aprì la giacca per mostrarsi in tutto il suo stile.
“A parte il ciuffo viola, che te lo potevi evitare per il mio matrimonio, per il resto sei irriconoscibile” Andrea avrebbe voluto ridere ma non poteva.
“Guarda ho accettato che mi pagassi il vestito solo perché io povero operaio non volevo far fare figure di merda al  futuro primario di ortopedia del ginocchio! Però il chiodo me lo potevi lasciar mettere.”
“E’ giugno, Simone” Particolare insignificante per chi andava con quel capo anche sulla spiaggia.
“Andrea sei sicuro ? Io ci metto un attimo a mandare tutto a monte.” Simone gli mise le braccia sulle spalle come per spingerlo ad un’ultima confessione.
 “La amo.” Gli rispose guardandolo negli occhi.
“Allora giuramelo, non far passare mai un momento della tua vita senza dimostrarlo. E’ il tesoro più bello che si possa trovare nella vita, conservalo e custodiscilo”.

Aveva il Dvd in mano. Lo inserì con forza nel lettore maledicendo il tempo che ci voleva per accendersi. Adesso lo poteva vedere. Eccolo li, Simone mentre fa il suo discorso facendo commuovere tutti. Senza sapere che di li a qualche settimana ci saremmo ritrovati tutti li a piangerlo. Perché lui, così spericolato  nella vita quanto prudente in scooter, venne travolto da un Tir impazzito. Un attimo e non c’era più. Andrea stava tornando dal viaggio di nozze e non seppe mai che l’ultimo pensiero fu per lui.
Adesso finalmente lo sentiva di nuovo e non  riusciva a capire come potesse avere dimenticato la voce del suo amico. Si era svegliato e non  la ricordava più. Quella voce che lo aveva accompagnato ogni giorno della sua vita fino al matrimonio, improvvisamente era sparita.

L’ultimo segno della presenza, l’ultimo appiglio a cui aggrapparsi per non impazzire dal dolore. Ma l’aveva ritrovata. Per non perderla mai più.

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