Fu
la mattina del 26 settembre, Andrea se lo ricordava bene.
Svegliandosi si rese conto di averla persa. Poteva
apparire incredibile perché solo fino alla sera prima era una presenza ben
chiara nella sua mente ma, una volta aperti gli occhi, si accorse di non
riuscire più a trovarla. Non servì a niente il caffè -mai profumato ed energico
come quella mattina- né la brioche che Sara gli aveva scaldato prima di uscire,
a fargli tornare in mente dove potesse essere. Andrea aveva 38 anni, e dall'età
di 11 anni non se ne era mai separato.
"Ciao io mi chiamo
Simone e te?” si presentò col pallone sotto braccio e una maglia di lana viola.
"Andrea.” Gli
rispose l’altro bambino col cappotto di lana e i pantaloni corti di
velluto, con un filo di voce.
“Per che squadra tifi?" lo incalzò
Simone.
"Per la Viola
" Andrea cercava con gli occhi la mamma che lo portasse via da quella
situazione.
"Io per Antognoni.
Si gioca che io sono lui e te sei Danielbertoni ?..." andando con i piedi
a segnare le linee che avrebbero limitato il campo.
"Veramente
Antognoni lo volevo fare io” provò timidamente a rispondergli Andrea. Simone lo
guardò e decise che lui sarebbe stato Antognoni prima dell'incidente e Andrea
dopo.
Fu così, nel giardino di
Via Baracca, che si conobbero.
Quella
mattina erano fissati tre interventi di protesi al ginocchio e due
ricostruzioni di legamenti. Ma Andrea era stato rapito da quella ossessione: il
pensiero di averla persa non gli avrebbe permesso di operare con
precisione e con la mente così lontana
poteva risultare molto, troppo pericoloso. Telefonò così alla segretaria:
" Michela, annulli gli interventi previsti per oggi: ho 39,2 di
febbre". Il dettaglio avrebbe
dovuto rendere credibile la menzogna. "Professore" rispose con
serafica indolenza la segretaria "pensa di riuscire a guarire per domani,
o la sua indisposizione durerà tutta la settimana?". Il modo con cui venne
sillabato "indisposizione" era un chiaro segno di come fosse stato
scoperto e che non era il caso di continuare la farsa. "No Michela, può
confermare gli interventi di domani". Una volta si sarebbe roso dal
rimorso e dalla vergogna.
“Entriamo dentro ?” disse Simone ad
Andrea indicando il vecchio edificio abbandonato dove prima c’era un
supermercato.
“ Dai Simone ma non si può” rispose
Andrea guardandosi attorno.
“Che palle io entro, se non sei un
coniglio mi segui.” E iniziò a scavalcare il cancello fatiscente, per arrivare
a passare attraverso quelle che una volta erano le porte d’ingresso e adesso
solo un ammasso di vetri. Andrea invece si era girato dandogli le spalle come
per tornare a casa. Poi pensò che gli amici lo prendevano ancora in giro per
quella volta che prese una pallonata in piena faccia e la mamma lo portò
all’ospedale. Riprese così la strada dell’edificio con la testa bassa, gli
occhi semichiusi e il cuore a mille e iniziò quindi anche lui l’ascesa al
cancello. Mentre faceva passare la seconda gamba dall’altra parte rimase
impigliato a una delle punte con i jeans, stracciandoli. Si affacciò alla mente
il viso della madre una volta che li avesse visti e battè un pugno in terra per essersi
lasciato trascinare in quella follia.
“Ah sei venuto anche te ? Allora non
sei un cacasotto. Ero già pronto a cantarti scappa coniglio bianconero!”.
Simone lo stava aspettando non sarebbe mai entrato da solo.
Dentro l’aspetto era spettrale; agli
scaffali vuoti si alternavano segni delle visite di tossici, barboni e piccioni
vari. La puzza era insopportabile.
“Oh Andre, zitto.“ Simone gli prese il
braccio mentre fingeva di ascoltare le sue lamentele. In quello che una volta
era il reparto forno sentirono un sinistro scricchiolio.
“Forse sarebbe il caso di andare via, dai
siamo entrati, la bischerata l’abbiamo fatti ormai” apostrofò Andrea.
“Arriviamo fino alla parete in fondo e
torniamo indietro.” Indicò Simone.
“Ma è buio non si vede una mazza” con
la mano sopra gli occhi strizzati.
“E’ quello il bello!” Superarono
l’ennesimo corridoio e videro sullo sfondo l’ombra di un mostro. Tale pareva
essere quel topo illuminato dal lampione sulla strada.
Andrea guardò Simone.
Simone guardò Andrea e gridò
“Scappiamoooooo”
Corsero con tutta la forza che avevano
schiacciando i vetri, incuranti del fatto che tagliassero le suola delle
espadrillas e scavalcarono il cancello in secondi più che minuti.
il cuore ad entrambi batteva come la
batteria dei Kiss ma seduti appoggiati al muro che circondava il supermercato,
Andrea e Simone ridevano come due cretini, uno dei quali coi pantaloni
strappati. Erano diventati grandi.
Andrea era
salito in soffitta e all’improvviso si ritrovò ad avere venti anni.
Aveva
conservato tutto.
I quaderni
degli appunti di anatomia.
I diari
delle superiori con i risultati della Fiorentina e i disegni delle moto più
potenti.
Le foto:
delle gite delle medie, della comunione, delle prime vacanze.
Infine le
cassette. Metallica, Iron Maiden memoria del tempo in cui si dichiarava
metallaro, quindi U2 e Queen.
In tutte
quelle tracce di passato c’era ovunque il segno della presenza di Simone. Ma,
pur aprendo ogni scaffale, ogni zaino , ogni sportello non trovò niente che lo potesse aiutare.
Ormai sembrava irreversibile: l’aveva persa definitivamente.
“Discreta la moretta?”
“Si, ma lei va con quelli
dell’università, a noi di quinta non ci considera nemmeno” rispose Andrea
mangiandosi le pellicine attorno alle unghie.
“No la Sara non è come le altre. “
rispose Simone con nonchalance girato dalla parte opposta.
“Sara?” gli fece eco Andrea con la
faccia a forma di punto interrogativo.
“Certo. Ascolta, ora vo da lei e le
chiedo di fare un’uscita a quattro. Perché io mi devo fare assolutamente la sua
amica, la Barbara”. Simone aveva un
‘espressione troppo determinata, per stare scherzando.
“Simone non fare cazzate, ma come fai a sapere
tutte queste cose?”
“Ciccio mentre te studi, io mi
informo.” Partì con la chioma di capelli
ormai all’altezza delle spalle vestito dell’inseparabile chiodo verso il gruppo
di ragazze. Non era tanto la figura di merda che avrebbe fatto Simone –nella
vita aveva comunque preso meno due di picche di quelli che avrebbe meritato- quanto
che stavolta aveva messo in mezzo anche lui.
Andrea era pietrificato, perché Sara
le piaceva davvero tanto e vedendo quel chiodo di pelle in mezzo a quelle
camicette colorate con le golette, sarebbe voluto scappare a chilometri di
distanza. “Vestiti a modino” tornò Simone trionfante “domani pomeriggio a casa
mia si fa matematica per prepararci all’esame. Andrea senti che ti dico: te
quella figliola te la sposi”.
All’improvviso
Andrea venne folgorato: la video cassetta del matrimonio. Li doveva esserci per
forza. Si ma dove l’avrebbe vista ? Sarebbe potuto andare su Ebay e comprare a
qualsiasi prezzo un vecchio videoregistratore, ma ci sarebbe voluto troppo.
Perché
Sara nell’ultima pulizia di Primavera l’aveva buttato via ? Lo sapeva
perfettamente che prima o poi sarebbe servito. E non le poteva neanche
rimproverare niente perché prima di portarlo alla Quadrifoglio aveva chiesto più volte se avesse riversate tutte
le videocassette su Dvd. Se fosse venuta a conoscenza che mancava proprio
quella del matrimonio, non ci sarebbe stato consulente matrimoniale che lo
avrebbe salvato dal divorzio. Decise di andare dall’amico fotografo, lui
avrebbe trasformato il Vhs in Dvd, costasse quel che costasse.
“Dai Andrea sei bellissimo … ma sei
sicuro ?” gli fece Simone mentre fingeva di mettere a posto la cravatta
“Simone me lo dicesti te in quinta
superiore che l’avrei sposata.” Lo guardava e rideva dentro. Con quel vestito
addosso era più ridicolo che elegante.
“Si ma adesso come faccio ? Eravamo la
coppia, quelli che trombavano”
“No Simone, te trombavi, io rimanevo a
parlare con l’amica-cesso”
“E’ vero. Come sto ?” Simone aprì la giacca
per mostrarsi in tutto il suo stile.
“A parte il ciuffo viola, che te lo
potevi evitare per il mio matrimonio, per il resto sei irriconoscibile” Andrea
avrebbe voluto ridere ma non poteva.
“Guarda ho accettato che mi pagassi il
vestito solo perché io povero operaio non volevo far fare figure di merda
al futuro primario di ortopedia del
ginocchio! Però il chiodo me lo potevi lasciar mettere.”
“E’ giugno, Simone” Particolare
insignificante per chi andava con quel capo anche sulla spiaggia.
“Andrea sei sicuro ? Io ci metto un
attimo a mandare tutto a monte.” Simone gli mise le braccia sulle spalle come
per spingerlo ad un’ultima confessione.
“La amo.” Gli rispose guardandolo negli occhi.
“Allora giuramelo, non far passare mai
un momento della tua vita senza dimostrarlo. E’ il tesoro più bello che si
possa trovare nella vita, conservalo e custodiscilo”.
Aveva il
Dvd in mano. Lo inserì con forza nel lettore maledicendo il tempo che ci voleva
per accendersi. Adesso lo poteva vedere. Eccolo li, Simone mentre fa il suo
discorso facendo commuovere tutti. Senza sapere che di li a qualche settimana
ci saremmo ritrovati tutti li a piangerlo. Perché lui, così spericolato nella vita quanto prudente in scooter, venne
travolto da un Tir impazzito. Un attimo e non c’era più. Andrea stava tornando
dal viaggio di nozze e non seppe mai che l’ultimo pensiero fu per lui.
Adesso
finalmente lo sentiva di nuovo e non
riusciva a capire come potesse avere dimenticato la voce del suo amico.
Si era svegliato e non la ricordava più.
Quella voce che lo aveva accompagnato ogni giorno della sua vita fino al
matrimonio, improvvisamente era sparita.
L’ultimo
segno della presenza, l’ultimo appiglio a cui aggrapparsi per non impazzire dal
dolore. Ma l’aveva ritrovata. Per non perderla mai più.
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